Nota ai testi
di Paolo Bertrando
Introduzione al volume
"XTC testi con
traduzione a fronte"
Arcana Editrice - 1992
"Non voglio essere un eroe, per nessuno.
Mi considero un Puck invecchiato, non un
qualche dio hollywoodiano dello spettacolo."
Andy Partridge
Come
dissezionare le parole degli XTC senza far torto alla loro stessa
levità, alla collocazione volutamente ambigua, fuori catalogo, al
desiderio di trascendere categorie troppo facili che traspare con tanta
chiarezza dall'opera (più che dalle posizioni) di Andy Partridge e dei
suoi eccentrici comprimari? Conviene forse porsi in posizione defilata,
cercare di arrivarci per approssimazioni progressive, tangenziali.
Partiremo innanzitutto da Swindon: città d'origine per tutti i
componenti carismatici del gruppo, città buia e caliginosa, debitamente
triste come si conviene a un inurbamento ferroviario vittoriano, eppure
allo stesso tempo vicinissima alle serene pianure dell'Inghilterra
meridionale: scene urbane sonnolente, pub e mattoni rossi, accostate ad
ambienti bucolici; il perfetto terreno di coltura per individualisti
esasperati, dilettanti di genio, eccentrici britannici. Anche per XTC,
quindi.
In secondo luogo, le personae degli XTC: tra le meno divistiche a
disposizione, musicisti che amano scomparire sotto costumi,
atteggiamenti, copertine bizzarre, persino nomi fittizi.
Al centro di tutto lui, Andy Partridge: autore pigro, afflitto da
crisi d'ansia e da panico da palcoscenico, sotto ansiolitici per tredici
anni. Raccolto nella quiete suburbana della sua casa nella Swindon
vecchia. Autore che riesce a uscir fuori con canzoni decenti solo se
messo sotto pressione. Un tipico inglese, dilettante e adolescente a
vita, della pasta dei Ray Davies e dei Vivian Stanshall, dei Syd Barrett,
ma anche dei Lennon e McCartney più giocosi ed estemporanei. Un poco
infantile, anche, riluttante ad assumersi responsabilità, forse, ma
incredibilmente fresco e intelligente. Non stupisce il suo inesausto
amore per il gioco di parole; ma Partridge è diverso dagli altri pun-makers britannici, non intellettuale come Eno, non agro come
Costello, non folle come Barrett: più innocente, più spontaneo,
altrettanto acuto e - ove necessario - graffiante (mentre il suo alter
ego Moulding sceglie un registro più sommesso e più meditabondo).
Perché XTC è considerabile creatura di due uomini innanzitutto,
Andy Partridge e Colin Moulding. Non che i due autori principi siano
spietati dittatori musicali - o testuali: "diamo una descrizione
generale dell'atmosfera, e chiediamo se gli altri possono contribuire
con qualcosa - anche cambiare la struttura armonica o suggerire
cambiamenti nei testi".
S'è detto, cercando un paragone fin troppo facile, che negli XTC
Partridge è il Lennon, innovativo e imprevedibile, Moulding il McCartney,
melodico e delicato. Il che può suonare come un complimento al gruppo di
Swindon, ma è in effetti riduttivo, come sempre in questi casi, non
tiene conto di differenze ragguardevoli. Non c'è, innanzitutto, quel
radicato amore del rock'n'roll che era stato carattere basilare dei
Beatles, ne c'è il carisma colossale dei Fab Four; ci sono invece
gusto sperimentale, amor del rischio, e la restrizione auto imposta
della forma-canzone di tre minuti. E c'è un'altra caratteristica dei
Beatles, tenuta sempre in sottordine dai quattro di Liverpool, confinata
in buona misura all'intimità e ai Christmas Albums: un uso delle
parole, da parte di Partridge (e, in minor misura, di Moulding}, come
perversioni minime del linguaggio quotidiano.
Le radici, musicali ma anche filosofiche: soprattutto la
psichedelia inglese - il che spiega certe scelte tardive, quali i Dukes
of Stratosphear. Partridge: "Gran parte del pop-rock americano era
troppo politico per i miei gusti. Erano troppo indaffarati a seguire
rivolte, brutalità poliziesche, Vietnam e droghe pesanti. In Inghilterra
avevamo questa festa psichedelica da Alice nel Paese delle Meraviglie.
Era tutto un vagare immersi in una nebbia color malva, vicino a qualche
ragazza vestita in lungo, parlando a rovescio. Più magico."
Ancora Partridge, per concludere l'excursus, sui propri
argomenti: "Non cerchiamo di scriver cose che siano necessariamente
finte; cerchiamo di scriver cose che possiamo veder succedere ad altri,
o che sono accadute a noi - e ve le rendo in metafore, perché ho una
certa paura di rendervele dal vero!"
"Alcune delle canzoni non fanno che descrivere il vicinato," rincara
Moulding. "Non cantiamo le grandi freeway o i drive-in dove ti vendono
gli hamburger, perché da queste parti non ce ne sono. Quel che possiamo
cantare sono autobus a due piani, tazze di tè, fattorie. Riflettere
esattamente quel che c'è intorno ." a noi.
L'evoluzione di XTC è innegabile, parte dalla prima semplicità
trasgressiva per arrivare a un'obliquità sempre più rigogliosa e sempre
più intenta a riflettere sulle proprie stesse forme espressive. Se è
vero, come sostiene tra gli altri Umberto Eco (nel Trattato di
Semiotica generale), che un metalinguaggio è un linguaggio usato per
parlare di un altro linguaggio, quella di XTC è una meta-musica, ovvero
una musica che parla di musica. In questo, XTC è uno degli esempi
principi di metalanguage r'n'r, dopo Zappa, Eno, dopo i Beatles
stessi.
Un rock costruito in modo di parlare di se stesso; e testi rock che
parlano di testi rock (si veda l'esempio, magnifico, di No Language
In Our Lungs). Il tutto attraverso un percorso vero e proprio, che
divideremo, per amor di studio e di pedanteria, in tre parti:
- un primo periodo, di caricatura della semplicità ruvida del punk
attraverso un'ipersemplificazione dei testi, ammiccante e spiritosa,
accompagnata da musiche svelte e assai più sofisticate di quanto
l'ascolto affrettato possa far supporre (si valuti bene la versione
spezzettata e frammentata, contorta, della Watchtower dylaniana,
cover azzardata quant'altre mai, dato anche il difficile
precedente hendrixiano). Dal punto di vista verbale, il punk dei primi
XTC vede testi sminuzzati fino alla primitività più ingannevole: "this
is pop, yeah, yeah!".
- un periodo di più maturo eclettismo, di gioco consapevole con gli
stilemi, per quanto stravolti. Al suo massimo musicale in BLACK SEA,
testuale in ENGUSH SETTLEMENT, più aggraziato nelle musiche ma carico di
doppisensi testuali, di grandi finezze verbali.
- un periodo neopsichedelico, che apre con il sottile barocchismo di
SKYLARKING, e raggiunge piena maturità con la ricostruzione filologica
dei Dukes of Stratosphear; da quei testi ancora tutti umoristici, evolve
poi ORANGES AND LEMONS, sorta di neopsichedelismo serio, con
lussureggianti foreste verbali non più rilette attraverso una pura
mimesi ma ormai assimilate e fatte proprie dal gruppo.
XTC è
figlio della strana atmosfera, quella della Londra di metà anni '70.
Apparentemente caratterizzata da una musica ruvida, incolta, violenta;
in realtà percorsa da una vitalità musicale con pochi riscontri. Il punk
fu forse l'ultimo grande movimento musicale appartenente, bene o male,
al rock. E ne fece nascere una musica davvero nuova, dura spiccia e
scomoda. All'interno d'un tale clima non poche erano le eccezioni. Non
spiccò, dapprima, quella degli XTC di Andy Partridge, che però sarebbe
sopravvissuta al punk stesso, abbandonandone gli stilemi più palesi, ma
conservandole il carattere saliente, la sfida al banale, al risaputo e
al rassicurante. Ottenuta con altri mezzi, senza grida ne rumori, con un
sorriso quieto quanto sardonico: not with a bang, but with a whimper...
Per quanto Partridge e Moulding disdegnino l'accostamento al
punk, la loro musica ne è una derivazione, specie agli inizi, specie in
quei testi fatti di nulla eppure già tanto fuori dai canoni. Due parole
distorte (" I'm bugged," Science Friction) e il senso di tutta
una canzone si capovolge.
Azzardiamo un'analisi più approfondita, quella d'un album che segna in
certo modo lo spartiacque per XTC, il raggiungimento perlomeno di
un'adolescente maturità, ovvero BLACK SEA. Album double face, a
partire dall'ingannevole soavità in due quarti ballabili di Generals
And Majors, che cela un netto antimilitarismo venato pure d'una
certa preoccupazione. Per non dire della protesta sociale di Respectable Street, che replica quella appena più morbida offerta
dal quieto Moulding con Making Plans For Nigel; o della genuina
paura, appena temperata dall'humour consueto, di Living Through
Another Cuba: "Se stai in Inghilterra, non c'è nulla da fare; si è
bloccati tra le superpotenze. E come essere il raccattapalle a una
partita di tennis.
No Language In Our Lungs
tratta - vedi caso - proprio dell'impotenza delle parole. "Quando parli,
non riesci mai a raggiungere quello che vorresti dire. Puoi soltanto
fornire schizzi affrettati di quel che pensi. Non credo che sia
possibile, in assoluto, comunicare: si possono solo usare certe serie di
patterns. Le emozioni sono refrattarie a esser messe in parole.
Onestamente, penso che le parole siano fondamentalmente fuori moda".
"Per cui buona parte delle canzoni non vengono fuori come si vorrebbe"
secondo un arguto Terry Chambers.
Il titolo di Travels In Nihilon viene da uno sconosciuto
romanzo di Alan Sillitoe; che parla d'un immaginario Paese di anarchici
che per la prima volta dopo la guerra si apre all' esterno. Qui il testo
è contratto e rarefatto, almeno quanto gli altri sono piani e
conversativi; e trapiantato su una musica ciclica e sovraccarica,
caotica, con una base incalzante di batteria alla Tomorrow Never
Knows. Le parole trattano della schiavitù delle mode, argomento
assai pertinente alla frivola Londra musicale dei primi anni '80. Ma la
musica è autenticamente minacciosa: come gli uomini dediti alla moda
secondo Partridge, "Nihilon non va da nessuna parte; è soltanto
una gran tessitura, come la musica di Terry Riley e Philip Glass. E la
canzone doveva essere lunga per funzionare; idealmente, avrebbe dovuto
prendere tutto un lato del disco, ed essere tutta batteria, eccetto un
pezzettino alla fine.
E non è un caso che Nihilon sia posta a conclusione ed
epitaffio dell'album - e anche di un periodo di XTC. "È come godersi un
eccellente pranzo di quattro o cinque portate poi, all'uscita del
ristorante, prendere uno stuzzicadenti e piantarselo nella lingua!"
In
MUMMER l'ispirazione di XTC vira ancor più decisamente verso atmosfere
che Partridge riconosce di buon grado come "pastorali", sempre più
britanniche, come se l'unico contributo dell'America al rock fosse stato
elettrificare le chitarre. I temi delicati e le chitarre acustiche ben
si sposano con le parole bucoliche, per dire, di Ladybird. Anche
se nella saggezza s'intravedono vene consistenti di cinismo: un umore
sottilmente depresso, melanconico, che s'infiltra in qualche modo anche
nei pezzi di maggior ottimismo. "Divento sempre più cinico con l'età.
Immagino che il cinismo sia il Iato crudele della saggezza. "
Da
SKYLARKING in avanti, XTC sembra voler recuperare quell'umorismo
momentaneamente messo da parte (almeno, questo vale per Partridge,
mentre Moulding vira progressivamente al cupo, con punte supreme quali
Dying). Vena che trova pieno compimento nella parabola dei Dukes,
simulazione psichedelica d'impeccabile mimetismo, fin nelle più fini
sonorità.
Paradossalmente, se le musiche dei Dukes sono complesse, giocose e
colorate, i testi optano per una linearità inusitata, avari di parole,
umoristici ma più eccentrici e meno sottili dell'usuale, come a ricreare
un'atmosfera adolescenziale (riferimento obbligato per tutto il lavoro
di XTC nel periodo). Il ritorno a meditare antichi amori, quali Syd
Barrett, Kinks o Move, ha ottenuto probabilmente anche quest'effetto.
Con ORANGES AND LEMONS, i testi si fanno di nuovo complessi,
arricchiti da un frequente uso di sezioni a canto e contro-canto, che
conferiscono spesso un andamento dialogante o a chiamata e risposta. In
LEMONS Partridge torna a giocare sui registri di pessimismo e ottimismo,
seppur con vena solare, testimoniata da pezzi come Garden Of Earthly
Delights; fino al franco sentimento rivendicato da Hold Me Daddy
(che Partridge fece ascoltare con estremo imbarazzo al proprio autentico
padre, per ricavarne un'altrettanto imbarazzata simulazione di "non aver
capito"). Quanto a Moulding, per lui i sentimenti sono meno incostanti:
le sue tre canzoni sono pervase da un costante umor nero, un "inverno
dello scontento", per stare alle sue parole, che acquista carattere
ancora più focoso per esser trapiantato sopra una musica lieve e
andante.
Quella
degli ultimi anni XTC è la storia d'un cammino ormai tracciato, che i
presunti "Fab Three" non fanno che seguire con lo scrupolo e l'amabilità
consueti. Così, la musica accetta i canoni d'un neopop dolce e
infingardo, introducendo profluvi d'archi e strumentazioni eccentriche,
abbandonando in maniera pressoché definitiva la pulsazione ritmica degli
esordi (peraltro mai accettata appieno, sempre corretta da un passo più
meditato). Sugli arabeschi di Dave Gregory, Partridge e Moulding
depongono parole sempre più calibrate e sapienti, stemperando le
provocazioni agre degli esordi in piccole riflessioni con sottofondo
sociale (come la War Dance di Moulding) o in amare, ma sfaccetate,
rimembranze d'amore (come la Madam Barnum o i Disappointed
di Partridge). Qualcosa s’è perso, in nitidezza e incisività; qualcosa
s’è guadagnato, in equilibrio, tecnica e forse anche maturità.
Ancora
Partridge, quasi una conclusione: “L’ispirazione è ancora Swindon,
Wiltshire, e non penso che ce ne allontaneremo. Me ne vado al pub in
pantofole, e mi bevo una birra come tutti gli altri. ‘È un bravo
ragazzo, uno normale’ dicono di me. Non riesco a immaginarmi niente di
peggio che avere aerei e flottiglie d’automobili. Questa è la
realtà. Quando porto a spasso il cane, mi vengono le idee”.
E Moulding, quasi una replica: “Tutti noi ci sentiamo privilegiati,
a far quel che facciamo. È qualcosa per cui vale la pena di vivere, non
è vero?”.
febbraio 1992
● Vedi anche:
XTC. Testi con traduzione a
fronte di Andrea Coralli