Si stanno svuotando gli archivi degli XTC
ma anche i quattro cd
del cofanetto "a coat of many cupboards" non esauriranno la curiosità dei tanti
fan
Per
anni abbiamo tutti pensato che Andy Partridge e Colin Moulding, in parole povere
gli XTC, fossero degli insopportabili snob di provincia o, perlomeno, dei
dispettosi. Avevano milioni di fans in tutto il mondo, adoratori incondizionati
del loro rock e del loro mondo strano, eppure si tenevano in disparte e
lesinavano un album ogni due o tre anni; e capitava anche che non ne fossero
contenti, come accadde con Skylarking dopo un'epica lotta con il
produttore Todd Rundgren. Oggi sappiamo che le cose non stavano così; che non
era questione di ritrosia o snobismo ma di un ricorrente braccio dì ferro fra
gli XTC e la loro etichetta storica, la Virgin, tra le smanie di chi aveva cento
idee, ergo cento dischi, e il bilancino di chi invece voleva usare solo 'certe'
canzoni a 'certe' condizioni. Insomma, Andy P. non era la tessera numero 1 del
Partito delle Tartarughe di Peter Gabriel ma un sognatore continuamente
frustrato nelle sue fantasie rock&roll.
Nessuno può riavvolgere il nastro del tempo ma da qualche settimana gira un box
di 4 ed che in qualche modo rievoca quegli anni e quei fantasiosi, instancabili,
bastonati XTC. Il box si chiama A coat of many cupboards e racconta la
storia della band all'apice della gloria e del culto, tra la fine dei '70 e i
primi anni '90. C'è il loro lato ufficiale, una specie di 'best of' con i pezzi
più celebri e ammirati fino a Nunsuch, e c'è una miniera di inediti,
alternate takes, provini frammenti live o radio, la punta di quell'iceberg che
potremmo chiamare "gli XTC fuori onda".
Metà cofanetto, due dischi precisamente, è dedicata ai favolosi inizi, 1977-81.
Sono i materiali più grezzi e i più divertenti: i ragazzi sono ancora "quattro
furbetti alla Monkees/Beatles", per usare le loro parole "che spaccano le casse
con i loro versi da foca e suonano la chitarra con effetti da Robby robot che
manda in frantumi il reparto stoviglie di un grande magazzino". Garage rock
sfacciato più disinvolte incursioni nel mondo dub e nella techno appena nata: ci
sono varie alternate tracks e inediti dei primi album a testimoniarlo, non
bastassero le nevrotiche giaculatorie di Life begins at the hop o This
is pop. Da Black sea il gruppo diventa più per maturo e
complesso,smussa qualche angolo per guadagnare in eleganza. Le rarità qui sono
soprattutto provini casalinghi, una dozzina, dai profondissimi cassetti di
Swindon: ma non manca la chicca di un inedito, Didn't hurt a bit, un
sassolino caduto dalla tasca di
Partridge quando aveva travestito gli XTC da banda psichedelica, i Dukes Of
Stratosphear.
Uno dei motivi di fascino del box sono i brani live che costellano i primi due
cd, canzoni per lo più minori da lontane gigs a Liverpool, Sydney, Londra, con
un'insolenza vocale e strumentale che era sfogo di terrore puro, probabilmente,
più che repressa energia giovanile. Gli XTC odiavano il palco e Partridge in
particolare ci lasciava tutte le volte fegato e nervi. Si trascinò cosi per anni
fino a una catartica sera italiana, Genova, 1982: lì toccò il fondo del suo
stress e decise che non avrebbe mai più calcato le scene. Promessa mantenuta.
Per quanto ricco,
A coat svela solo una minima parte degli archivi XTC e
susciterà certo le proteste dei fans più accaniti: solo a considerare i bootlegs,
sarebbero possibili un paio di altri cofanetti così. Ma non è una questione
quantità. Quello che manca al box in realtà sono i progetti che gli XTC han
dovuto accantonare negli anni, il 'tempo perduto' che dicevamo all'inizio. Come
sarebbe stato per esempio quel 45 0 che Partridge a un certo punto progettò
immaginando un coro di tutte le ragazze della Virgin che si chiamavano Maria (le
Virgin Marys, naturalmente)? O quella compilation di finti complessi bubblegum
di un'ipotetica Zither Records, guidati dagli Anonymous Bosch e Le Dodici
Fragranze di Ercole? Domande senza risposta. La burocrazia discografica ce li ha
rubati tempo fa e gli XTC di oggi distinti signori ormai cinquantenni, non
sembrano più avere voglia di giocare a quei giochi.
Riccardo Bertoncelli - Musica di Repubblica n. 329 - 23 maggio 2002