Un'esplorazione
fino al "Mar Nero"
dal volume "XTC"
di Vittorio Azzoni
Questo capitolo è un
adattamento tratto da John Morrish, XTC, in Sound
International, novembre 1980.
Il 1979 è stato un anno eccezionale per quanto riguarda le
uscite discografiche, ma nonostante la vasta scelta Drums
and Wires degli XTC può considerarsi uno fra gli album
migliori, pur non facendo dimenticare a quale categoria
appartengono i quattro di Swindon: quella dei "troppo
furbi". Infatti, anche se il disco sembra il risultato di un
profondo cambiamento, il grande balzo in avanti, un'analisi
più attenta rivela Drums and Wires sulla scia delle
mutazioni derivate dall'annus mirabilis 1977. Sebbene
sia più esplicito nelle atmosfere, è forse la chiave di
lettura che meglio rivela tutto il precedente catalogo.
È pacifico che
gli XTC non sono mai stati un gruppo punk, nonostante si
siano imposti all'attenzione del pubblico durante la nascita
di questo particolare fenomeno. Mentre altri gruppi si
preoccupavano di scuotere le fondamenta del rock'n'roll, con
aggressione e immediatezza, loro scagliavano schegge
neurotiche sigillate con humour e splendenti di fredda
intelligenza. Come suona strano e spigoloso il 3D-EP del '77
, rispetto a pezzi come Pretty Vacant e
White Riot!
Science
Friction, di Andy Partridge, è sviluppata su un riff
piuttosto semplice e su un ritornello strappato con le urla,
ma per il resto è evidente che le personalità coinvolte
stanno lavorando in aree molto diverse da quelle della
maggior parte dei loro contemporanei.
Tanto per
cominciare si mette in luce lo stile vocale idiosincratico
di Andy, il suo originale e inventivo percorso di chitarra,
e lo sgargiante organo atonale di Barry Andrews.
I versi poi
sono decisamente atipici rispetto al periodo storico: Science friction burns my fingers / Electricity stilllingers
/ Hey, put away that ray / How do you Martianssay /Ilove you?
(La "sciencefriction" brucia le mie dita / L'elettricità si
è interrotta ancora / Ehi, abbassa quel raggio / Come dite
voi di Marte / Ti amo?).
L'opinione di Andy a proposito di quei giorni è molto schietta e forse un
tantino polemica: «Eravamo proprio costretti a fare del surf
su tutta quella feccia, ecco la verità; un'onda di rifiuti
su cui abbiamo navigato per un anno o due. Non me ne
vergogno affatto. «Molta gente che sta leggendo questa
intervista sa benissimo che fino a un paio d'anni fa portava
spille e catenelle, e magari si faceva chiamare "The
Electric Vomits"... Probabilmente adesso, quelle stesse
persone, si sono fatte crescere i baffi e portano cappelli
di lana: insomma sono entrate nel giro dei "soul boys". Fate
l'esame di coscienza, gente! lo ero un idiota capellone, un
"glitter" che indossava scarpe cori tacchi scintillanti. Lo
ammetto senza problemi, ma so che ci sono un sacco di
stronzi che non lo farebbero mai!». La mancanza di
un'etichetta applicabile alla loro musica non preoccupava
tanto la band quanto la stessa Virgin. Col senno di poi è
forse meglio definirli come il primo gruppo "new-wave" della
generazione punk, anche se musicalmente più arditi.
Definizione - questa - che calza perfettamente al loro primo
album White Music: un disco che riunisce in modo
assai eterogeneo alcuni pezzi eccellenti (Statue of
Liberty, Radios in Motions, Into the Atom Age), con la
produzione essenziale e cristallina di un John Leckie che
non fa nulla per attenuare l'aura di fredda intelligenza del
gruppo.
Il brano più
efficace è stato registrato una seconda volta per essere
pubblicato come singolo, diventando in seguito una specie di
manifesto del gruppo, quasi un'autodefinizione: This ls
Pop (Questo è Pop). Sostenuto da una chitarra
sospettosamente "jazzy" e da accordi di pianoforte, il suo
messaggio è fin troppo chiaro: What do you cali that
noise / That you put on? / This is pop (Che cos'è quel
baccano / Che stai facendo? / Questo è pop). Allora gli
XTC pretesero - e lo pretendono tutt'oggi - di essere
considerati un gruppo pop. Usano il vocabolo non come un'
etichetta che definisce un genere musicale specifico, ma
secondo la tradizionale accezione di "essere popolari". Pop,
quindi, in questi termini. Ma qui c'è l'inghippo: la loro
musica è un po' eccentrica, e tanto più la si ripercorre a
ritroso tanto più appare strana. Questo, mentre Partridge
sviluppa una convincente argomentazione sul fatto che «gli
Abba non sono più misteriosi dei Residents, così come i
Kinks non lo sono di Captain Beefheart and his Magic Band».
Aderendo al pop chiedono semplicemente di venir accettati
come una parte racchiusa nell'ampio contenitore della musica
"popolare": «Tornando al concetto di pop, sarebbe come
abbattere tutte le categorie che spesso soffocano gli stessi
gruppi. È una sorta di negazione di tutte le categorie». Il
loro secondo album, GO 2, disegna una materia sonora
accessibile in contorni di atmosfere un po' pesanti; e il
singolo di quel periodo, Are You Receiving Me, è una
classica canzone pop. Ma il gruppo manteneva ancora certi
atteggiamenti provocatori. Le spigolose divagazioni di piano
e organo di Barry Andrews sono in parte responsabili di
questo, sebbene egli fosse al tempo stesso capace di
sottigliezze deliziose: si ascolti per esempio il suo
"medley" di tematiche coniugali di Battery Brides. In
quel periodo al gruppo è spesso mancata certa disciplina,
certo autocontrollo: con due musicisti così idiosincratici
quali Partridge e Andrews era facile che l'intera struttura
franasse, specialmente dal vivo.
L'arrivo di Dave Gregory, appena prima di
Drums and Wires, ha
caratterizzato l'inizio di un suono più scarno, teso e
diretto, costruito sulla classica struttura rock: basso,
batteria e due chitarre.
Oltre all"'hit-single"
ricavato dall'album, Making Plans for Nigel, vi
sarebbe stato sicuramente altro materiale da destinare ai 45
giri, ma la Virgin esitò troppo sulla scelta finale: «La
Virgin ha una politica paludosa, e ogni volta vengono
interpellati il "badge presser", l'uomo delle pulizie,
Richard Branson, Simon Draper , Al Clark e tutti gli altri
tirapiedi. Persone gentili che a turno dicono: "Gente, siete
tutti delle teste di rapa, la mia proposta è in assoluto la
migliore". Così, sono anche fin troppo gentili quando si
tratta di confondere l'interesse personale nelle decisioni
comuni. Comunque sono brave persone e non penso che a loro
importi molto quello che sto dicendo», dice Andy
provocatoriamente.
Black Sea
rappresenta poi un ulteriore passo in avanti nel processo di
"poppificazione" attuato dal gruppo, anche se ha più la
parvenza di una scelta deliberata piuttosto che di una
evoluzione naturale.
C'è coerenza di
fondo in questo album. Andy commenta: «Non c'è qui... nulla
di ciò che si potrebbe definire come prolisso o
eccessivamente verboso, e proprio per questo è un album più
"leale", compatto».
I pezzi tendono
verso un certo pessimismo di fondo. Scritto e realizzato
durante i primi due mesi dell'anno, all'apice della guerra
fredda, questo 33 giri è imbastito su testi che riflettono
una qualche atmosfera di tensione: «Sopravvivendo a un
'altra Cuba», canta Andy; «Generali e maggiori
sembrano sempre così infelici, tranne quando hanno una
guerra», canta Colin.
Gli XTC sono
anche prudenti nel realizzare una musica che non
riuscirebbero poi a riprodurre "on stage" , tagliando fuori
un tipo di arrangiamento orchestrale, per esempio:
«Non mi
andrebbe di ingaggiare un paio di dozzine di vecchi
violinisti ebrei per completare un pezzo. Non sarebbe
fattibile economicamente: penso solo al conto della
lavanderia per tutti quei fazzoletti che si mettono sotto il
mento mentre suonano», riflette Mr. Partridge. «Che idea
fenomenale... Avresti bisogno di un TIR colmo di fazzoletti
per accontentare tutti quei menti! Preferisco scrivere per
quattro strumenti e un synth».
Paradossalmente, una delle loro caratteristiche salienti è
che sono una vera band, in uno stile comune a poche altre in
questo periodo: un senso di convivenza col passato, uno
spazio casalingo e una mitologia locale. Vivono ancora a
Swindon per motivi solidamente pratici, o così almeno
vorrebbero far credere: «Affanculo, è proprio la verità»,
dice Colin. Ma sotto il cinismo si cela un sentimento per
l'ideale di gruppo. Ricorda Andy: «Il mio sogno? Essere in
un gruppo tipo i Monkees o i Rolling Stones. Una di quelle
bizzarre formazioni che potrebbe apparire improvvisamente in
qualsiasi luogo di ritrovo, innestando le chitarre in una
presa tripla e suonando proprio come su disco. Magari
vivendo tutti insieme in un 'unica casa... Con una macchina
un po' pazza con la scritta del gruppo sulla fiancata... Ma
ho scoperto in fretta che non può essere così».
I Beatles sono
un altro riferimento culturale: «Adoro l'atmosfera che c'era
intorno a loro e cerco sempre di ottenerla. Vedi, trovo
simpatico anche il romanticismo legato alle loro
personalità. Tutti sanno di Ringo, di come suonava; così per
George, quale genere di cose gli piacevano. Insomma,
esattamente quattro personalità distinte ma inseparabili
come gruppo: non è molto eccitante?».
Dave Gregory, un uomo garbato, si è unito agli altri
solo agli inizi del '79, dopo la defezione del pimpante
tastierista Barry Andrews (unitosi successivamente alla band
di Iggy Pop, e quindi con i League of Gentlemen insieme a
Mr. Fripp).
Dave è
leggermente diverso dal resto del gruppo. Un conversatore
piacevole e moderato, privo della marcata pronuncia "swindoniana
" con la erre tonda. È equilibrato ed eccezionalmente
modesto.
Ognuno dà la
sua versione sul perché Dave sia diventato un XTC: «È il
solo povero diavolo che potrebbe rimpiazzare quelle vecchie
e risapute figure di Barry Andrews», dice Andy. Ma Colin
suggerisce una motivazione ancor più pratica: «Quel Barry
era un fottutissimo... Intendo dire che avevamo bisogno di
una vera pietra angolare, di qualcuno con la tempra del tek.
Dave era dunque la scelta più ovvia per sostenere il resto
di noi scoregge. Eravamo proprio come tre scarpe da
ginnastica in cerca di una loro scatola adeguata», aggiunge
Andy, offrendo un'ulteriore "spiegazione".
Il parere di
Dave è invece tipicamente ponderato: «Penso che l'attrito si
sia creato perché Barry e Andy sono entrambi due figure
leader a cui piace seguire un proprio corso. Una situazione
analoga a quella fra Mick Jagger e Brian Jones» nota con un
sorriso. «In quei giorni la band era dilaniata dalle loro
contemporanee sperimentazioni: Ognuno in una direzione
diversa, con una passione e un piglio tipici del
"front-man". Così finivano spesso col litigare».
Adesso la scena
è a completa disposizione di Andy, e Dave ricopre fedelmente
il suo ruolo di "supporter": «Mentre Andy suona c'è bisogno
di un flusso stabilizzante nei registri più bassi. Penso che
questo sia il vero motivo per cui mi trovo qui. Sai, loro mi
conoscevano ormai da anni e in fondo sono convinto che se io
suonassi le tastiere o anche il sassofono sarei qui
comunque. Loro volevano tenere unita la band ancor prima di
ogni altra cosa».
Andy ricorda di
averlo visto suonare nel 1968 in un famoso club giovanile
nella zona di "Penhill", quando ancora faceva parte di un
gruppo chiamato Pink Warmth. Poi, appena prima di unirsi
agli XTC, Dave era il chitarrista di una chiassosa band di R
& B: Dean Gabber & His Gaberdines. È da lì infatti che
provengono le sue radici musicali. La sua tecnica è fluida e
smaliziata, sia alla "ritmica" che alla "solista", ma in uno
stile rock più tradizionale, distante dalle serpeggianti
divagazioni estrose della prima chitarra.
Il risultato è
un piacevole collage di stili che emerge soprattutto in
concerto, dove il tecnico del suono Steve Warren separa
l'uscita delle due chitarre in effetto stereo: le ritmiche a
toni caldi e pastosi di Dave sulla sinistra, i fraseggi
irregolari e stridenti di Andy sul canale destro.
A volte Dave si
prende un assolo, come fa per esempio in Real by Reel:
«Quando ho una parte di chitarra leader sono cosciente di
non amalgamare alla perfezione con il sound bizzarro,
saltellante e spasmodico del resto del gruppo. Di Andy
Partridge ce n'è uno e io non voglio diventare il suo
alter-ego. Ho molta ammirazione e rispetto per il suo
talento, ma al tempo stesso non posso far finta di ignorare
le mie radici. Preferisco seguire il mio "feeling", e fino a
ora c'è sempre stata assoluta compatibilità e
complementarietà».
A differenza
degli altri tre, Dave ha il pallino per la strumentazione e
possiede una collezione ben nutrita di chitarre americane:
«Mi rendo perfettamente conto di attaccarmi a una chitarra
per il fatto di sentirla come un mio ideale prolungamento.
Agli strumenti nuovi di solito preferisco qualcosa di
"stagionato", costruito con quel materiale di qualità che i
primi ovviamente non hanno - nonostante i loro costruttori
vogliano farti credere il contrario».
Sorprendentemente la chitarra che usa di solito è una "Telecaster"
nuova di zecca; la più solida e pesante che sia riuscito a
trovare. Quindi ha poi sostituito i "pick-ups" originali con
dei nuovi "Seymour Duncan": «È un fanatico del made in USA»
dice Andy «ed è ossessionato da questi vecchi "pick-ups"
d'annata. È stato alla "Gibson" e alla "Fender" dove ne avrà
"pettinato" un paio; ma può anche darsi che glieli abbiano
omaggiati... Poi li ha completamente smontati e riprodotti
fedelmente com'erano quelli degli anni '50. Tra l'altro
"vanno da Dio", e te lo posso garantire perché ne ho
ricevuto personalmente uno, di un modello chiamato "Broadcaster"
che è l'originale della "Fender 1949". È incredibilmente
brillante, con degli acuti metallici, e una resa super
quando monto delle corde nuove».
A parte la "Telecaster",
Dave è orgoglioso proprietario di una "Stratocaster" del
1963, di una "Gibson SG" del '64 - la sua seconda chitarra
durante i concerti -, e di una "Firebird" del '66 acquistata
durante l'ultimo tour americano. Venendo agli amplificatori,
il suo preferito è un "Fender Tremolux" del '69/'70, che ha
accoppiato con la sua "Strato" per le registrazioni di
Drums and Wires e per la sua collaborazione all'album di
Peter Gabriel III. In questo periodo usa anche uno
dei nuovi H/H "Performer" e dichiara di essere soddisfatto
della versatile pedalieia che agisce sui due canali.
Bisogna anche
ricordare i contributi di Dave alle tastiere, sia in studio
che "live", per i quali usa un "Minikorg 700S". Un perfetto
"sideman".
Terry Chambers è famoso per essere il più espansivo
dei quattro (ironico!, e le interviste passate lo
dimostrano). Il batterista sembra proprio contento che siano
gli altri a parlare (me lo ha dimostrato nelle due occasioni
in cui ci siamo incontrati).
Per quelli
interessati a queste cose, ci siamo preoccupati di accertare
il suo "drum-set": usa un kit standard "Tama" con piatti "Paiste"
e sul nuovo disco Black Sea - ma anche in tour - usa
a volte un drumsynth "Tama Spider" per imprimere un po' di
profondità al rullante: Love at First Sight è forse
l'esempio più chiaro di questo accorgimento.
Del nuovo
strumento parla con disarmante candore: «Lo uso da poco, ma
non credevo che alla fine - avrei ceduto al mondo della
batteria elettronica».
Ancora oggi,
nonostante la sua reticenza ad aprirsi, Terry Chambers resta
uno dei migliori batteristi. Ha una tecnica precisa che gli
consente uno stile eccezionalmente musicale, e questo incide
parecchio nell'economia sonora del gruppo. Le sue parti sono
pensate anche come un arrangiamento da adattare alla
costruzione di ogni singolo brano, in modo da rifletterne
l'atmosfera.
In studio
preferisce dei semplici "patterns" circolari, definendo
nuove sfumature reggae e funky mentre si concentra sulla
possibilità di coniugare charleston e rullante. Dal vivo, il
suo è un rullare che puntella le estese esplorazioni "dub"
di pezzi come Real by Reel e Scissor Man.
Colin Moulding è timido e prudente con chi non
conosce; bisogna conversare un bel po' prima di farlo
"sbottonare" .
Colin, Andy e
Terry sono stati insieme in diverse formazioni prima del
'77. Allora Colin era soltanto il bassista e suonava le
composizioni di Partridge.
Questo durò fino al momento in cui gli "sbarbatelli"
firmarono un contratto per la Virgin, quando Colin decise
cioè di cominciare a scrivere e a cantare. Ciò nonostante, i
suoi primi lavori riflettono ancora la spasmodica e
discordante natura musicale del loquace chitarrista.
Ma già con GO 2 comincia a definirsi l'identità autonoma del
compositore e del cantante, per poi imporsi definitivamente
in Drums and Wires, dove contribuisce con quattro
stupende canzoni, tra cui l'insidioso "hit-single"
Making
Plans For Nigel. Quello che incuriosisce del progresso
fatto da Moulding è il modo con cui è passato dai pezzi più
strani e oscuri del gruppo alla creazione di pop-song
destinate a diventare dei 45 giri perfetti.
La svolta
decisiva della sua "escalation " compositiva è stata
Life
Begins at the Hop, un brano nella pura tradizione pop,
avvolto in un'atmosfera "sixty" molto pronunciata.
Ora Colin
compone cambiando le sue consuete vesti di ascoltatore ed
esorcizzando l'influenza di Partridge: «Adesso che me ne
sono liberato credo comunque di averne avuto bisogno durante
i primi tempi». Allo stesso modo ha sviluppato un personale
stile vocale che descrive come «un sound alla Engelbert
Humperdink», e l'ermetismo intenzionale dei testi d'esordio
si è plasmato in un'espressione più diretta, ben fissata al
reale: "Clock in my head / Clock on the watt / And the
two of them / Don't agree at all / Friday is heaven",
canta Colin in Day in Day Out.
Il suo lavoro
al basso è scrupoloso ma estraneo a qualsiasi tentativo di
esibizionismo e di virtuosismo: «Devi fare ciò che la
canzone richiede in quel dato punto, non solo quello che tu
vorresti», osserva. «È tutto funzionale alla natura del
pezzo. Se nasce da un "giro" che mi sembra valido allora lo
suonerò; ma se essa richiede anche solo una nota elementare,
semplicemente ripetuta, va ugualmente bene. Purché la
canzone non soffra del tuo ego. Se ci fosse qualcuno a
caccia di un altro Sting non lo troverà certo in me» .
Parlando ora di
equipaggiamento, Colin si trova giusto a metà strada tra
l'entusiasmo di Dave e l'assoluto disinteresse di Andy. Ha
"fatto passare" un discreto numero di strumenti, da un
"Fender Jazz" del '62 - «del quale mi liberai subito dopo
averlo comprato perché non riuscivo a suonarlo» - a un "Dynelectron"
(simile a "Dan-Electro"), «un basso "fretless" che ho sempre
considerato insuonabile finché il buon Andy non gli ha
dipinto alcuni tasti sul manico».
In genere è
prevenuto verso gli strumenti con i tasti stretti (li
definisce modelli "da donna"), ed è più orientato verso un
suono "Gibson", più denso e pastoso rispetto al "Fender".
Anche se attualmente ha messo a punto una timbrica che
sembra quasi un ibrido tra le due: «Ero abituato a usare
bassi "Fender", ma pensavo che mancassero di un certo
carattere: sempre con lo stesso suono alla Jean-Jacques
Burnel. Vedendo un basso che mi piaceva in un negozio di
Charing Cross Road pensai di aver trovato quello che avevo
in testa. Non m'importava molto, in quel momento, di come
suonasse, e così lo comprai... Almeno potevo dire di avere
qualcosa di diverso. Si tratta di un "Ephiphone Newport",
costruito a Kalamazoo nella fabbrica della Gibson. Una volta
a casa mi precipitai da Andy e gli dissi che mi sarebbe
piaciuto metterci un altro pick-up, un "Di Marzio":
"Dovresti metterci un accendino, non un pick-up. Sarebbe
meglio vederlo galleggiare sul Tamigi con una bandierina
sorretta da un'asta", mi rispose».
Insomma, quel
tipo di basso non era certo ben visto dagli altri membri del
gruppo. Ma nemmeno dai tecnici del suono, aggiunge Dave
Gregory: «A Hugh Padgham non piaceva assolutamente il suono
di quel basso ed era convinto che non sarebbe riuscito a
registrarlo». Colin protesta visibilmente: «Penso che Hugh
desse comunque più peso alle sue credenziali piuttosto che
al suono vero e proprio».
«Così chi l'ha
spuntata?» chiediamo a un certo punto. «Beh, non era una
questione di principio», dice Colin. «Erano incazzati con me
per via di quel basso. Ma non mi va che la gente s'incazzi
per cose come quelle... Comunque, sì, l'ho spuntata io
quella volta».
Dal lato
opposto, Colin è invece poco entusiasta dell'amplificazione
che usa in questo periodo: dai giorni dell'HP ha sempre
suonato con un H/H "Performer" bass combo, ma lo cambierebbe
volentieri con qualcos'altro.
«È un tipo molto intelligente», dice Dave a proposito di
Andy Partridge. «In verità è un po' noioso perché riesce
bene in così tante cose. Potrebbe darsi alla carriera di
vignettista o di commediografo senza troppe difficoltà. È
così creativo che qualsiasi cosa più remotamente artistica
può mettere in azione la sua testa. Ha soprattutto un grande
senso dell'humour , come avrai certamente constatato».
Ha uno spiccato
gusto per l'assurdo e una facile e fantasiosa parlata con la
quale sa mettersi in luce in ogni argomento di
conversazione. Un accenno casuale, una parola; può diventare
il "la " che fa scattare in lui un monologo di comicità
assolutamente spontanea: ricordiamo quello sul revivalismo,
indotto da un accenno al revival del "Pictish"(1). Senza
essere stimolato a farlo, Andy entrava e usciva dal ruolo di
un giovane "neo-pitto" intervistato a proposito di alcune
blande "denunce su scala nazionale" di questo "spaventoso
culto giovanile".
Recitando la
parte senza pause per quasi quindici minuti, basava tutta
l'idea comica su una folle logica e sull'attenzione
esasperata per i dettagli.
Il suo stile chitarristico e vocale, le sue stesse canzoni,
raggiungono un livello unico; il modo di suonare è
disarmonico e stridente ma strutturato, aggressivo, ma pur
sempre melodico.
Ma qual è
l'origine di questi grappoli di note anarchiche e
abbaglianti? «Sta in tutto quello che ho ascoltato», dice, e
intanto srotola una lista di nomi - Rory Gallagher, Sonny
Rollins, Jimi Hendrix... Poi scende nei particolari: «Tutte
le "scale" che conosco le ho imparate da Jerry Garcia: suona
così lentamente che puoi benissimo seguirlo con la chitarra
mentre un suo disco gira sul piatto. Il buon vecchio Jerry
mi ha insegnato il meccanismo delle progressioni armoniche
con pezzi come Freak Out in a Day. Ho imparato a suonare
nella tonalità di "sol minore" dai primi dischi dei Pink
Floyd; in "mi minore" dal Live dei Grateful Dead; a stoppare
le corde durante un assolo dai primi due albums dei Taste;
il piacere di suonare senza seguire nessuna tonalità dai
primi due dischi dei Patto e da alcuni primi dischi "jazzy"
della Polydor e della Sonet. Poi ho imparato il piacere di
non suonare affatto da Miles Davis e dal Sonny Rollins di
East Broadway Rundown; infine, il piacere di "tirare" le
note e di usare la leva del tremolo da Electric Ladyland».
Adesso Andy non si esercita molto con la chitarra: «Posso
stare anche dei mesi senza toccarla, ma penso sia un buon
sistema per trovare idee nuove appena la riprendo in mano».
E quando poi si
ascoltano le sue esplosioni di singole note si ha
l'impressione che non derivino da qualche "scala "
particolare: «Cerco di imprimere la forma che le mie dita
tracciano sulla tastiera, senza bisogno di seguire
necessariamente una tonalità. Anzi, devo proprio ammettere
di non conoscere le tonalità di alcuni pezzi che facciamo,
specialmente di quelli firmati da Colin».
Passiamo ora
alla strumentazione del signor Partridge: «Mi piacciono le
chitarre con il manico basso e i tasti piuttosto corti; i
pick-ups, due, è meglio se sono "schizofrenici", e devono
essere posizionati al ponte è vicino alla tastiera». In
questo periodo usa una Ibanez " Artist" , e come chitarra di
scorta una "Les Paul". In passato ha avuto alcuni gioiellini
come la Suaylee "Golden- Tone" e una "Futurama " color pelle
di leopardo.
Come curiosità va detto che una delle sue chitarre preferite
gli è stata rubata: «Una "Guild" da novanta sterline con un
solo pick-up ma incredibilmente gagliarda. Guardandola c'era
un solo scopo nella vita: farsela!».
Ma se il suo
stile chitarristico può sembrare unico, quello vocale lo è
ancora di più. Il suo è un verso primitivo, tra il
singhiozzante e lo "yodel" (modulazione in falsetto): una
volta sentito lascia una traccia indelebile nella memoria.
«Ero preoccupato di non avere "una" voce. Vedi, metti su un
disco e puoi riconoscere nella voce di un Jagger o di un
Lennon un timbro vocale molto caratteristico. Beh, visto che
non posso cantare, farò allora ciò che mi piace - mi sono
detto». In pratica una sorta di "scat-singing", che in
seguito è diventato inaspettatamente il marchio di fabbrica
degli XTC.
Sfortunatamente, però, il più grande inconveniente del suo
modo di cantare, soprattutto nei primi lavori, è la resa
incomprensibile del testo. Ed è un vero peccato se si pensa
alla vivace immaginazione verbale che vi si ritrova. Un
dono, questo, che deriva dalla prematura immersione nei
lavori di William Burroughs: «Mi sono accostato alla
letteratura entrando dalla parte meno accessibile,
scavalcando cioè le tappe "obbligate" che consentono, di
solito, una preparazione graduale alla lettura di libri come
Soft Machine e The Naked Lunch.Queste opere
hanno avuto un effetto profondo sul mio modo di pensare».
Come molti
altri personaggi creativi, Andy Partridge è relativamente
disinteressato a quello che può accadere al suo lavoro una
volta terminato. Alcuni dei suoi brani migliori, infatti,
sono finiti su singoli promozionali (Chain of Command),
o sui lati B (Don't Loose Your Temper). E c'è in giro
un'intera serie di brevi esperimenti... Cose tipo The
Somnambulist, buttata giù durante un paio d'ore buche
dopo una "session" di registrazione a
Top of the Pops...
1 "Pictish" è la
lingua dei Pitti (Picts), uno dei possibili ceppi
non-celtici la cui origine va fatta risalire ancor prima
delle popolazioni gaeliche e celtico-britanniche che un
tempo abitavano la Gran Bretagna.