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Poesia e ingegno, Beatles e Kinks, arte e satira, città e piccoli sobborghi nel sogno universale degli XTC formato Novanta.

Intervista di Enrico Sisti.
Foto di Kevin Westemberg
Rockstar n. 142 Luglio 1992

 

"TU? ", ESCLAMA ANDY PARTRIDGE APPENA MI VEDE. 
Io non so che fare. L'unica cosa che riesco a pensare è che mi abbia scambiato per qualcun altro, magari un vecchio debitore. Mi scruta, bofonchiando qualcosa tra sé, mi gira intorno. "Ma lo sai che tu sei diventato la leggenda della band?". "Sinceramente sono stupito. Se mi spiegassi ... ". Cosa stava succedendo? Niente. Ma per capire bisogna tornare al 1984. In febbraio vado a trovare gli XTC a Swindon. Il treno da Londra costa un occhio. L'appuntamento è per le 13, ora in cui a Swindon tutti diventano improvvisamente latini e corrono a casa per il pranzo, dimenticando che le vecchie e sane abitudini del Nordeuropa industriale spingono all'efficienza. Dobbiamo vederci a casa di Dave Gregory, in una stradina che non può avere niente di diverso da quella che la precede e da quella che la segue. Andy, Colin e Dave stanno in salotto. Guardano la tv e commentano ogni cosa che passa sullo schermo. Dopo i saluti, metto mano alle mie cose, cercando taccuino e walkman. Il primo c'è, il secondo no. Strabuzzo (a quanto mi dice Andy a distanza di otto anni). Trasecolo. Loro mi rincuorano, tanto più che tornare a Londra per riparare alla dimenticanza costerebbe di più che comprare un walkman nuovo nell'orribile centro commerciale di Swindon. A causa della mia sbadataggine, quell'intervista sono costretto a farla prendendo appunti. Cosa che personalmente trovo scomoda e approssimativa. E per riuscire a memorizzare tutto quello che mi viene raccontato finisce che stringo i ragazzi in un angolo tenendoceli per un tempo decisamente superiore a quello di una normale intervista. Quel giorno gli XTC fecero la più lunga intervista della loro vita, costretti da un trasandato a stare pigiati in tre su un divano da due per circa due ore. Troppe. Tutto questo viene ricordato alla perfezione da una delle vittime di quell'incidente a 8 anni di distanza mentre io, il carnefice, avevo completamente rimosso l'accaduto. Forse non è sbalorditivo, ma io mi sbalordisco. Andy invece si fa un mucchio di risate. Io mi dispiaccio per allora, cercando goffamente di scusarmi per una cosa per la quale tutto sommato non ci si deve scusare. Ma per evitare altri inconvenienti brandisco immediatamente il mio walkman. "Oggi non si sgarra! ". Andy è un po' più paffuto, meno capelli, ma con una vitalità creativa che col passare del tempo sembra aver trovato ancora più stimoli.

   Non ricordo come partiamo, ma ad un certo punto mi spiega che la radice inglese della parola con cui si indica la Pasqua (easter) è la stessa della parola estrogeno. Una rinascita alla vita. Forse, inconsciamente, si voleva alludere al fatto che per un gruppo 'sporadico" come gli XTC, questo rinascere è un evento spirituale di assoluta normalità. Loro, che non si fanno mai vedere in giro, che per antonomasia, sono diventati il gruppo "senza concerti", eseguono tra disco e disco un rituale della sparizione come degli abili prestigiatori, imboccando la via del cilindro dopo avervi fatto opportunamente uscire il coniglio (cioè il disco). 

   "Avverto col tempo che la mia vita cambia, ma nella vita si può anche cambiare senza accorgersene. Invece il mio cervello mi lancia dei segnali indicativi, delle direzioni di marcia, dei consigli ai quali non posso non badare. Certo, l'età può diventare un problema, ma finché lo si tratta a parole, quest'argomento, vuol dire che ancora non è diventato un problema. La senilità è una sorta di protezione. Traduci il mondo con un nuovo vocabolario, e la musica che fai, sempre che tu sia un musicista, riassume con crescente capacità di sintesi quello che hai assimilato". 

   Ma sei rimasto l'uomo di provincia, capace di farsi tenero con le piccole aggregazioni e estremamente polemico con la filosofia della grande città? 

   "In parte sì. Ma adesso bisogna ammettere che anche Swindon si è fatta città. E' troppo violenta. Forse anche questo dipende dal bisogno di protezione che la senilità impone, dall'interno e dall'esterno. Però la senilità non va intesa come una sorta di chiusura, insomma non vorrei che si pensasse che l'uomo diventi col tempo un porcospino". 

   Auto-protezione, quindi, anche come auto-indulgenza? 

   "La senilità è un fatto che ti impone in un certo senso di non rivelare più quello che intendi realmente fare. Un tirarsi leggermente indietro, non tanto, ma quanto basta per avere un'idea diversa della vita. Certo, c'è anche più tranquillità. Se un uomo cerca, è preoccupato. L'idea stessa dell'andare in giro a fiutare nuove possibilità comporta agitazione e ansia. Ecco: andare avanti significa essere più quieti. Ovviamente si suole pensare che parlando in chiave strettamente artistica sia più proficuo avere delle grane con la vita, con se stessi e con gli altri. Ma sono anche queste osservazioni un po' superficiali. Perché se uno va a guardare attentamente a quello che c'è dentro il prodotto, il manufatto artistico, non conta tanto essere preoccupati o avere dei dolori al momento della creazione, quanto sapere cosa voglia dire soffrire. Io, i miei migliori "dolori", la mia vita in profondità, le mie agitazioni, i miei disagi, li ho vissuti tra i 15 e i 16 anni. In quell'epoca si è quasi sempre più ricettivi che in altri momenti. L'adolescenza è il momento di massima partecipazione. La capacità di assimilazione che hai quando sei adolescente è totale: tutto quello che uno si porta dietro viene da lì. Esiste un'epoca dell'assimilazione e un'epoca dell'elaborazione. Io sono estremamente spericolato. La mia elaborazione attuale ha qualcosa di filosofico, di nevrotico, ma quello stesso tempo ha anche qualcosa di fragile, di indefinito. Ad esempio, per quanto mi costa molta fatica, quando termino un lavoro in realtà sono già al punto in cui non vedo più alcuna ragione per commentarlo. L'unico mio obiettivo è di liberarmene psicologicamente. E' qualcosa di superato. Qualcosa che dentro di me si brucia in fretta. Forse in questo modo, cioè distanziandomi, riesco anche a giudicare meglio quello che ho fatto. Del resto se un giornale ce l'hai a un centimetro dal naso non puoi leggerlo. A trenta già si comincia a ragionare". 

   Un viaggio nel tempo che conduce ad una maggiore consapevolezza di ciò che si è fatto. 

   "E così lavoro anche sulle influenze che le cose hanno su di me: staccandone per poi tornare indietro. In effetti le influenze culturali che subisco oggi non sono più molte, perché non sono nell'età dell'assimilazione. E comunque, se ci sono, sono influenze che vanno a colpire la sfera letteraria, cioè i testi delle mie canzoni. Quanto alla musica, non c'è niente che possa stupirmi più. La musica che faccio viene anch'essa direttamente dalla musica che ascoltavo nella mia adolescenza. E' una rielaborazione dei modelli di allora, di ciò che adoravo perdutamente". 

   Ossia? 

   "Charlie Parker, Danny Kaye, Kinks. La musica è uno specchio del tempo, una sua riduzione in termini matematici. L'evento musicale è il risultato di un momento particolare della vita di un uomo: il momento in cui egli istintivamente cerca di riempire il vuoto culturale che ha dentro. Se questa operazione avviene felicemente, sarà un uomo ricco. Gli anni Sessanta hanno esercitato su di me l'unica vera pressione intellettuale di cui posso rendere conto. Hanno lasciato sul mio essere ferite che niente potrà guarire. Anzi: più queste ferite continuano a sanguinare e più posso andare in giro dicendo di essere vivo". 

   Una di queste ferite sono dunque i Kinks più dei Beatles. Ad ascoltare gli XTC verrebbe da pensare il contrario. 

   "No. Ray Davies non è la perfezione, ma è l'unico che abbia saputo aggredire la vita di tutti i giorni trasformandola in una specie di incantesimo popolare. E' quello che vorrei fare io: non so però se ci sto riuscendo. Vorrei prendere la mia vita e trasformarla in una specie di obiettivo morale cui possano tutti attingere, dopo naturalmente averli aiutati a raggiungere il proprio. Purtroppo di questo passo, voglio dire del passo che per anni ha tenuto Ray Davies, ci si spompa facile. E i Kinks hanno smesso presto di fare bei dischi. Cosa che ritengo un peccato e, al tempo stesso, una vergogna. Ad un certo punto egli non ha più saputo dir niente perché non riusciva a pensare niente". 

   E tu, ti sei mai sentito arrivato, come diciamo noi alla frutta? 

   "In questi dieci anni non ho fatto altro che continuare ad imparare qualcosa dalla mia vita di adolescente. Non è ancora il momento di battere ritirata. Scrivere canzoni è la mia unica vita. Sono dieci anni di infiltrazioni di ricordi, di educazione, di elaborazione del passato". 

   Questo contribuisce a sentirti fuori dal meccanismo della scena musicale contemporanea? 

   "Mi sento fuori, dal pop inglese, ma non per questo. Il fatto è che mi sembra sterile vivere di inutili codificazioni come quelle legate alle terminologie, ai gerghi, alle etichette. E' un fatto distruttivo, non ha niente di salutare. E quelli che ci sguazzano prima o poi se ne accorgono. Pagandola di tasca loro, la somma che molti debbono tirar fuori è elevata più di quanto meriti la situazione globale, governata dalle mode impositive, un po' fasciste, che alimentano sensi di vittoria per nessun traguardo reale". 

   Cosa ricordi di quegli anni Settanta confusi in cui avete iniziato a essere nel mercato, a essere XTC?

   "Noi abbiamo iniziato prima dei punk, ma avevamo abbastanza sale in zucca per capire che la grande rivolta contro il corporativismo rock non avrebbe portato a niente. Gli XTC, come tali, esistono dal 1975, prima eravamo gli Helium Kids, ma l'avvio della nostra carriera musicale bisogna farlo risale al 1972. Nel 1977 c'era una strana fissa di andare in giro, tutti sudati, esasperati, congestionati. Tutti dicevano, nervosissimi: che c'è, che c'è di nuovo? Tutto quello che esisteva non era più catalogabile alla vecchia maniera. Un puliscivetri non era più un puliscivetri ma un puliscivetri punk. Tutto punk, tutto trasformato a parole, ma non nella sostanza. Quando siamo spuntati noi, ci hanno puntato il dito contro e hanno detto: cavolo, quattro ragazzi che vengono da una cittadina di provincia! Sono ingegnosi, "arty", magnifico, sono art-punk! Balle. Dovemmo vivere per un po' con queste frescacce intorno". 

   Pare sinceramente rattristato, quasi patetico nel ricordare quelle sciocchezze e quell'inutile enfasi giovanile dei punk imposto che aveva l'aspetto di un fenomeno assolutamente artificioso. Adesso però vi definiscono una hobby band... 

   "Simpatico. E in parte non è sbagliato, anche se immagino dovrebbe essere una definizione negativa. Io vedo il mestiere del musicista come una sorta di contro-mestiere. Più uno stimolo irrefrenabile che un lavoro. Direi quasi una missione per trovare altra musica, altre spiegazioni, un movimento che non dipende neppure dal musicista stesso. E' la ricerca dell'altro capo del buco nero. Anche questo è un hobby, può darsi. Musicista è "tramite", è collegamento. E' spiegazione delle cose. Se la vita è un mistero, allora però posso dire anche che preferisco lo svelamento. Io rispetto un mago molto più quando mi dice come fa a illudere la gente con i suoi trucchi. Tutti restano a bocca aperta? Ooooh! Ma come ha fatto? Bene, vuol dire che è un bravo mago, ma io lo stimo di più se dopo mi racconta qualcosa dei suoi imbrogli". 

   Quanta autobiografia c'è nelle tue canzoni. 

   "Sempre di più, man mano che riesci a trovare un linguaggio idoneo anche per parlare a te stesso. Se uno trova che la terza persona è il modo giusto di raccontare la storia, avrà sicuramente più voglia di mettere in quel "lui" qualcosa di sé. Nell'atto mimetico c'è una possibilità in più di dare ad una canzone o ad un libro uno spessore autobiografico. Non ricordo quando ho cominciato a raccontarmi, ma non è stato moltissimo tempo fa". 

   Ma ricordi quando hai iniziato a scrivere canzoni? 

   "Dopo la scuola, nella mia stanza, in pigiama, con la chitarra di mio padre, che lui aveva preso quando era in marina. Poi quando mi sono comprato la chitarra elettrica, ogni volta che iniziavo a suonare, mia madre entrava in camera mia con le mani sulle orecchie e mi spegneva l'amplificatore". 

   Come sei stato educato? 

   "Mi piaceva andare a scuola quando era ragazzino. Poi, col tempo, ho perso attenzione, avevo meno controllo. E ho abbandonato quando avevo 15 anni. Un po' prestino... entrai in contatto con un mucchio di cose, tra cui anche la droga, che mi fece perdere per un attimo l'equilibrio, e forse più tardi mi aiutarono però a trovarne un altro. Non so. Altri valori certamente entrarono nella mia vita, mentre quelli tradizionali, come per esempio lo sport, e in particolar modo il calcio, non ebbero mai un vero e proprio ruolo nella mia esistenza. Mi consideravano strano, dicevano che avevo delle tendenze pericolose e mi consideravano un artista, quindi una specie di ragazzo perduto. Però non leggevo, non leggevo quasi niente. Ho cominciato a leggere quando ho lasciato la scuola, appunto a 15 anni, e il primo libro fu nientemeno che Il Pasto Nudo di Burroughs, che certo non è un inizio leggero. Però era un libro che ti permetteva di saltare le pagine, di cominciare dalla fine, insomma un libro molto 'disposable'. Forse l'ho letto alla rovescia e non me ne sono mai accorto. In realtà quasi tutti i libri che ho letto non li ho finiti. Ne leggo sempre una decina contemporaneamente, finendo anche per confonderne i personaggi. Una cultura molto interattiva". 

   E quanto all'educazione musicale? 

   "All'inizio l'educazione musicale si traduceva nel riuscire a rimorchiare. Quelli hanno una chitarra? Bene andiamo, ci saranno sicuramente delle ragazze". 

   E' possibile che gli ultimi due album degli XTC siano i più belli della loro storia? 

   "Assolutamente". 

   In che senso? Perché da noi quest'avverbio lo si usa... 

   "Assolutamente si. Nonsuch ha, tra i nostri dischi, il maggior numero di canzoni che sono strafelice di aver scritto, o che Colin abbia scritto. Ma forse Oranges & Lemons ha più ritmo ". 

   Invece Nonsuch è triste, vero? C'è un senso di contemplazione della decadenza del mondo. 

   "Me lo dicono in molti. E' aspro, c'è un po' di oscurità". 

Luminosa però. 

Andy si alza e brancola con le braccia protese. Gli occhialetti che indossa sono da cieco. Ma la sensazione di luminosità è, ogni disco che passa, sempre più tipica nel mondo degli XTC. Ci resta da raccontarci la storia di Salman Rushdie, ben esposta in 'Books Are Burning", con la quale riandiamo indietro alle dominazioni culturali imposte con il fuoco e ai bei resoconti fatti da Ray Bradbury e poi da François Truffaut (Fahrenheit 451). Gli chiedo se, in qualità di "leggenda del gruppo", non riesca per caso (o per disgrazia) a vedermi dedicata una canzone nel prossimo disco. Lui scuote il testone tondo, si fa una risata e poi se ne fa un'altra. Meno male che è spiritoso. 

 

Partridge vota Partridge 
(senza vergogna)

 XTC: 
White Music (Virgin 1978) Voto 4
Go 2 (Virgin 1978) Voto: 2 
Drums And Wires (Virgin 1979) Voto: 5 
Black Sea (Virgin 1980) Voto: 6 
English Settlement (Virgin 1982) Voto: 8 
Mummer (Virgin 1983) Voto: 7 
The Big Express (Virgin 198,4) Voto: 7,5 
Skylarking (Virgin 1986) Voto: 8 
Oranges & Lemons (Virgin 1989) Voto: 7,5 
Nonsuch (Virgin 1992) Voto: 8,5 

 DUKES OF STRATOSPHEAR 
(eteronimo di XTC): 
25 O'Clock (Virgin 1985) Voto: 6 
Psonic Psunspot (Virgin 1987) Voto: 7,5 

 ANDY PARTRIDGE (solista): 
Take Away - The lure Of Salvage
(Virgin 1978) Voto: 2

 

 

 

 

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