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Scheda

di Alberto Campo

dal volume "Nuovi poeti rock britannici"
Joy Division-Bauhaus-XTC-Magazine-Pop Group- Scritti Politti

Testi con traduzione a fronte di Luca Majer
Arcana editrice - 1983

 

   Affermare che si tratta di una tra le bande più ingegnose e peculiari che l'Inghilterra abbia avuto nel post-77 potrebbe apparire affermazione iperbolica e gratuita. Ma se solo ci si sofferma a valutare l'intelaiatura sorprendentemente intricata delle loro "canzonette", ovvero i meriti armonici e ritmici degli esperimenti più strampalati e sbalorditivi, si finisce per cogliere quella strana sorta d'imprevedibile equilibrio tra serio e faceto, che da solo regge tutto il suono "estatico". Fate conto: nati Beatles e cresciuti con le attitudini dei Residents, o viceversa. 

   Imprevedibile come la natura stessa del quartetto, l'origine geografica del "fattaccio" è Swindon, paesotto di campagna a un'ora d'auto da Londra. Qui, addirittura nel '72, tre enfants terribles del luogo, due studenti (Terry Chambers e Andy Partridge) e un mezzo-tempo parastatale (Colin Moulding), iniziano a frequentarsi al suono di Monkees, Zappa, Beefheart e Beatles. E' Partridge quello che più s'infervora per la musica: dal jazz della nutrita discoteca paterna fino a lambire le sponde di certo rock concettuale d'oltreoceano, egli trae ispirazione nell'abbozzare stranezze per voce e chitarra. Per realizzare il suo sogno, però, ci vuole un gruppo. "Volevo state in un vero complesso, come Monkees e Beatles. E' sempre stata quella la mia idea di gruppo", dirà in seguito Partridge, aggiungendo i nomi di Small Faces e Hollies per chiarire meglio gli intenti. 

   Con Chambers alla batteria, Mouldíng al basso (con compiti suppletivi di alter-ego creativo) e Partridge in primo piano quale cantante e chitarrista, nasce così il trio che sarà il nucleo di tutte le vicende successive. In un primo tempo c'è un tal Dave Carter [sic] a far da "seconda chitarra" (è l'epoca in cui il nome del gruppo cambia da Star Park in Skyscraper), mentre un anno dopo, nel '75, sotto l'appellativo Helyum Kidz, i tre incidono un demo-tape per la Decca, riempiendolo di bizzarrie distribuite su ritmi nervosi e saltellanti. Non se ne farà nulla ma alcuni mesi dopo, quando cioè alla formazione si sarà aggiunto il tastierista Barry Andrews, viene trovata la formazione ideale e anche il nome definitivo. Giova, a questo punto, ricordare una volta ancora che l'unirsi delle tre magiche lettere in lingua inglese suona quasi "ecstasy". XTC sarà così la band che alla fine del '76, in piena bufera punk, troverà un comodo e garantito contratto con la Virgin. 

   Pur avendo concesso fino a quel momento assai poco alle buone maniere commerciali, i quattro godettero della possibilità di farsi conoscere discograficamente su larga scala; ciò avvenne per la prima volta nel novembre del '76 con un maxi-singolo intitolato 3D E.P. e contenente concisi episodi di rock eclettico, graffiante e imbastardito, quali Science Friction e She's So Square. Il ritmo palpitante e sincopato e il gusto per l'infrazione formale erano i "segni particolari" più evidenti in quel loro debutto su vinile. I quattro proseguirono coerentemente lungo questo sentiero sbilenco con l'album di esordio, quello della "musica bianca", che venne anticipato da un singolo, Statue Of Liberty, piuttosto incline al ricalco di alcuni deliziosi luoghi comuni del pop. "La nostra è musica per formiche", ammoniva allora Partridge nelle prime farsesche interviste del gruppo, coniando così una tra le infinite possibili declinazioni verbali del loro acume parodistico. Tra citazioni di certo pop sciocchino piagato dal vetriolo ironico (Radios In Motion, This Is Pop e Into The Atom Age), architetture eccentriche e indefinibili (X-Wires e I'm Bugged) e oltraggi al pudore rockistico (la versione "mai vista" di All Along The Watchtower, "reggata" e condotta da un'armonica impossibile), quel primo album estatico fa scorribanda in venti anni di rock, cogliendone frammenti in modo apparentemente casuale e innestandoli su ritmi inconsueti e paradossali. Di White Music occorre non perdersi nemmeno un attimo, talmente nutrita è la galleria di citazioni, memorie, scherzi e pantomime che compone le singole frasi musicali; già qui i testi raddoppiano l'effetto-sorpresa, pescando a piene mani nella migliore tradizione del non sense. 

   Compendio di cultura pop redatto corrosivamente, quell'esordio a velocità lente, datato gennaio '78, pareva in sintonia attitudinale con il punk che scuoteva allora l'isola tutta, anche se, avrete capito, di etimologicamente punk XTC non ha mai avuto nulla. Il 1978 fu un'annata di lavoro intensissimo per i quattro; subito dopo l'uscita dell'album venne il momento dell'esordio live su scala continentale: furono così supporters dei Talking Heads nel primo tour europeo di Byrne & C. Non solo: al ritorno in patria si rinchiusero nuovamente in sala di registrazione per incidere altro materiale, che fu poi sufficiente per confezionare il secondo album. Da quelle stesse sessions venne tratto il fulminante singolo estivo Are You Receiving Me, canzone dall'estro, la vitalità e la comunicativa rare; a novembre fu quindi la volta dell'intera raccolta intitolata GO2. Pur contenendo un paio di quelle loro canzoni davvero estatiche (Battery Brides e Beatown), questo secondo disco non fece altro che ribadire in modo tutto sommato scontato le ambizioni "collagistiche" di White Music, senza riuscire a scovare sintesi più curiose e sorprendenti delle precedenti. Restano alcune stranezze (The Rhythm e Iumpin' In Gomorrah [sic]), i due unici (e deludenti) saggi compositivi di Barry Andrews (Supertuff e My Weapon) e la paradossale copertina firmata Hypgnosis, a far ricordare quel disco e, con esso, la massima che ammonisce: "l'eccentricità ripetuta non è più tale". 

   Come accade spesso, l'impasse creativa nasconde una vera crisi dei rapporti interni al gruppo: tant'è vero che alla fine di quello stesso anno Barry Andrews, la componente più spiccatamente progressiva all'interno del quartetto, musicista capace di mimetizzare l'infrazione tra le pieghe dell'ovvietà, lascia il gruppo per progettarsi una carriera autonoma, che lo vedrà al fianco di Iggy Pop, con Fripp in League of Gentlemen e, infine, impegolato in un combo di modern-funk (Shriekback) insieme a Dave Allen, già bassista di Gang of Four. XTC parve allora un gruppo sull'orlo dello scioglimento. Siamo a cavallo tra '78 e '79; si cerca un tastierista e sbuca fuori un chitarrista. Il nuovo membro di XTC è quel Dave Gregory, più vecchio degli altri tre, che qualche anno prima era stato occasionale partner musicale del Partridge imberbe. Con il cambiamento dell'organico, lo stesso equilibrio interno del gruppo tende a mutare: cresce il ruolo di Colin Moulding quale vera e propria alternativa compositiva a Partridge (fino a quel. momento la "penna" più efficace e prolifica del gruppo), mentre Chambers e Gregory si dispongono ordinatamente in seconda fila. Proprio di Moulding furono i due "singoli" incaricati di aprire il varco per il terzo album: si trattò di Life Begins At The Hop (aprile '79) e, a distanza di quattro mesi, Making Plans For Nigel. Perfetti esemplari di modern pop, né più né meno; dalle intricate strutture ritmiche ai travolgenti ritornelli dell'impeccabile svolgimento, quei due 45 giri osavano ciò che solo i primi Talking Heads avevano espresso in termini di canzonette concettuali. Making Plans... in particolare, amara e ironica nella sua forma autobiografica, può essere considerato l'esempio più lucido e incisivo di pop estatico: tutt'altro che banale nell'impasto di ritmi e armonizzazioni, eppure immediatamente cantabile e godibile (da tramandare ai posteri l'intermezzo centrale di chitarra). Questo gioco di reciproca intrusione tra simulata commercialità e aristocratico perfezionismo strutturale fa del disco che segue una autentica pietra miliare di quel vivacissimo '79 inglese. 

   Drums & Wires, paradossalmente "disco d'oro" in Canada, concentra gli aspetti salienti delle due fasi distinte della storia del quartetto. da un lato l'ispirazione stravagante e le caustiche inclinazioni degli esordi, dall'altro il sobrio e sofisticato gusto pop degli anni a venire. Proprio per questa sua virtù sintetica, il terzo album rimane l'insuperato capolavoro di Partridge e soci, contenendo, oltre ai due singoli citati classici del calibro di Ten Feet Tall, When You Are Near Me I've Difficulty, Real By Reel e la beatiesiana Day In Day Out (Moulding colpisce ancora!). Altrove, particolarmente in Millions e Complícated Game, i quattro ribadiscono convincentemente (ma anche per l'ultima volta) che la voglia di sorprendere è tutt'altro che sopita: sarà piuttosto l'album successivo, Black Sea, a far ipotizzare l'avvenuta "normalizzazione".

   Sono due i 45 giri che nel 1980 precedono il quarto album: il primo esce a primavera, è un reggae stralunatissimo intitolato Wait 'Till Your Boat Goes Down e non verrà incluso nel successivo 33 giri, a differenza del secondo singolo, la vivacissima Generals & Majors, che di quell'album sarà anzi, proprio il preludio. L'ellepì è settembrino, annunciato da una copertina che evoca Jules Verne e intitolato Black Sea. Si tratta del più accentuato sforzo del gruppo in chiave commerciale: contiene quattro canzoni che saranno altrettanti singoli di discreto successo (in ordine di uscita.- Generals..., Towers Of London, Sgt. Rock e Respectable Street). Nella struttura Black Sea richiama alla memoria certi classici album beatlesiani, mentre la maggioranza delle canzoni non fa che confortare l'effetto d'insieme: pop elegante, simpatico e talora davvero avvincente (Generals... e Love At First Sight in primo luogo), mai nulla di più. Anche se il divertimento è quindi assicurato (e quando mai con XTC!), siamo miglia distanti dal magico equilibrio di Drums & Wires. E' Partridge stesso, a nome del quale esce a fine '80 un album fatto di riletture e ritagli di brani "estatici" (Take Away-The Lure Of Salvage), a riconoscere questa congiuntura di sterilità creativa optando così per un periodo di riposo. Passeranno quindici mesi abbondanti prima che il quartetto di Swindon si rifaccia vivo. 

   Nel gennaio dell'82, con il preavviso di un 45 giri dallo splendido retro canzonettaro (Blame The Weather), esce il mastodontico English Settlement: una doppia raccolta di materiale vivace e brillante. Parecchie le novità: quella che balza subito agli occhi è la metamorfosi del suono in chiave semi-acustica; c'è poi lo sforzo cosmopolita nella elaborazione dei temi, che finisce per far alternare le solite incantevoli canzonette all'inglese (Ball & Chain, Knuckle Down e la travolgente Fly On The Wall tra le altre) con inedite bizzarrie ritmiche (l'ironico tribalismo di Melt The Guns, la parodia terzomondísta di It's Nearly Africa e il rarefatto esotismo di Yacht Dance). L'album, pur in queste massicce proporzioni (quindici canzoni/oltre un'ora di musica), non abdica mai sul fronte della qualità, risultando così lavoro dall'equilibrio piacevole e confortante. English Settlement, pur privo della urgenza modernista di Drums & Wires, seppe così riproporre all'inizio dell'82 XTC come una delle band più capaci, longeve e particolari di tutta la scena inglese. Soprattutto particolari: XTC può essere infatti considerato uno tra i pochi gruppi d'Oltremanica in grado di concepire musica ignorando i pesanti condizionamenti dei volger rapido delle mode. Inafferrabile, quindi, per questa sua radicale estemporaneità: Partridge come Primula Rossa del rock? Una band, questa dell'estasi, che nonostante si sia sempre nutrita al pascolo ovvio e sempreverde del pop inglese, si è dimostrata costantemente abile nello sfuggire le trappole dei luoghi comuni, affidandosi per questo all'istrionesca genialità di Partridge e a quella più timida e introspettiva di Moulding. 

   Il diario di bordo di XTC può vantare ora una pluriennale militanza sulla scena, un set di canzoni prossimo alle tre cifre e tale professionalità e dimestichezza tecnica da rendere il quartetto assolutamente irresistibile "in concerto". L'antologia Waxworks/Beeswax (dalle formiche alle api?) uscita in chiusura di 1982, pescando nel loro ampio repertorio a 45 giri, retri compresi, fa testo in modo probante del loro evolvere meticoloso e, soprattutto, dell'impareggiabile singolarità, tipicamente inglese se si vuole. Ma lasciamo a Partridge il compito di fare, a modo suo, il punto della situazione: "Penso che come gruppo pop abbiamo ottenuto tutto ciò che era possibile, con l'unico rammarico che i nostri singoli continuano a non avere alcun successo". THIS IS POP!

 

 

 

 

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