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La ballata delle Teste-di-Zucca: storia stratosferica dei duchi di Swindon

di Riccardo Bertoncelli

Introduzione al volume
"XTC testi con traduzione a fronte"
Arcana Editrice - 1992

 

   Non sono mai stato a Swindon, Wiltshire, 91.136 abitanti, museo storico delle Ferrovie Britanniche. Non ci sono mai stato ma, nel caso, saprei bene come orientarmi. La vecchia mappa pubblicata come inserto a Go 2 mi soccorrerebbe per le informazioni essenziali e, di più, un ritaglio di giornale che amo conservare mi porterebbe dritto al mio obiettivo. "Un taxi dalla stazione, il viaggio è breve. Si arriva a una casa dei centro storico, si passa la porta e poi una prima rampa di scale. Arrivati in cima, c'è un'altra scala, metallica, che porta a una mansarda."

    Andy Partridge lavora lì e Andy Partridge è una delle tre persone (le uniche, credo) che possono convincermi a un tale viaggio abissale nella provincia di Sua Maestà. Il secondo è Colin Moulding, il terzo Dave Gregory. Insieme sono, da dieci anni almeno, gli XTC, uno dei più fulgidi complessi di culto del pop rock moderno, probabilmente il più brillante, forse anche il migliore. Può "il miglior gruppo" di qualsiasi cosa abitare in un così sperduto lembo del pianeta, che immaginiamo tedioso e vagamente tetro come da storica mitologia britannica? In teoria sì, perché escluderlo? Il rock non ha mai disdegnato la provincia e anzi lì si sono accesi spesso fuochi storici e tenaci; non era certo metropoli la Tupelo del giovane Elvis o la Duluth dello Zimmerman o, chesso’, la Lubbock di Buddy Holly. Solo che, appena a pensarci, quei memorabili provinciali han dovuto sradicarsi, per raccogliere la loro polvere di stelle, uscire dal guscio e affrontare le nevralgiche capitali della musica mentre qui si parla di marginali con l'elastico che al margine finiscono per ritornare sempre, stranieri a Londra ma anche a Bristol, faccio per dire, a Nottingham o dovunque non sia l'asilo extraterritoriale di uno studio di registrazione, ché quello potrebbe andar bene ed essere "casa" anche a Beverly Hills. A Swindon gli XTC ci sono nati e non solo, ci abitano, e siccome da una diecina d'anni han fatto voto di non suonare più in pubblico, lì passano la stragrande maggioranza del loro tempo, se non per quei due/tre mesi ogni due/tre anni (tempi comodi, per l'appunto provinciali) in cui sono in giro per l'Inghilterra o anche oltre a confezionar la musica che nel loro nòcciolo han progettato.

    Il segreto che può spiegare le cose è che Swindon è la capitale apparente degli XTC ma Partridge, Moulding e Gregory non abitano in realtà li, situati piuttosto in una terra fantastica e tutta mentale che si cercherebbe invano su un atlante. La chiamerò Swindonia, questo u-topòs, e noterò che confina a nord con la Shangri-La dei fratelli Davies, a sud con la sterminata Pepperland dei Beatles e da qualche parte con quella "Land of Grey And Pink" di cui parlavano i geografi Sinclair, confederazione di staterelli psichedelico-progressivi, piccoli e uno diverso dall'altro. Questa terra è tutt'altro che "provinciale" nella storia del pop e del rock, anzi, alcune tra le pagine più durature e belle sono nate qui: in un tempo sospeso senza le isterie della metropoli, con le maniere discrete e lo humour sottile di chi vive appartato e ha tempo di guardar le cose, e sa come. Artigianato pop, senz'altro, di quella specie tipicamente britannica ormai quasi perduta, che dalla bottega di Lennon e McCartney porta ai Kinks, a Pete Townshend, a Elvis Costello; dove più dell'appariscenza dell'oggetto musicale vale il suo profilo sottile, la cura dei dettagli, la finitura. "Le nostre canzoni sono un mondo in miniatura racchiuso in una piccola scatola" raccontava tempo fa Andy Partridge "e mi piace l'idea della gente che apre il coperchio di metallo e vi trova minimi oggetti insoliti - un pezzo di frutta disseccato, un cristallo di quarzo, un soldatino giocattolo da riparare, un disegno tracciato su un piego di carta."

    E’ un artigianato che ama il piccolo, il breve, il limitato. In tutto il catalogo XTC i brani che superano i sei minuti si possono contare sulle dita di una mano; la distanza abituale è di tre, quattro minuti, il tempo canonico per "l'introduzione, il ritornello, i middle eight, un breve assolo - la nostra tela preferita". Ma la modestia delle forme scelte non deve trarre in inganno. Se è vero che gli XTC evitano volentieri i Grandi Numeri e gli scenari spettacolari, d'altro canto non rinunceranno mai, neanche nella filastrocca più breve, a inseguire quel fuoco brillante che Partridge, e non solo lui, chiama genericamente "magia". "Quand'ero ragazzo sono rimasto folgorato dalla musica psichedelica: 45 giri come Arnold Layne, See Emily Play, Itchycoo Park, tre minuti di musica indimenticabile con una grande iniezione di magia, strani effetti e un testo assolutamente non sense". Diventato grande e passato dall'altra parte del giradischi, Partridge si ingegna a ricreare nei suoi brani quel clima e le "great brain pictures" che ne venivano, incancellabili. "La musica XTC è probabilmente una versione onirica dei suoni che abbiamo assorbito quando la nostra mente era più impressionabile, dai 10 ai 20 anni. Ora che tocca a noi fare musica, non ci viene altro che masticare e rimontare i frammenti che ogni giorno rubiamo ai nostri ricordi".

    Se di questo si tratta, la provincia (torniamo qui alla geografia reale, non più fantastica) è il guscio ideale dove operare, con l'agio e la calma che occorrono. Partridge può dunque svegliarsi tardi, passar la mattina ad ascoltar dischi, portare il cane a passeggio ("il mio momento più creativo, è li che mi vengono le idee") e giocare con gli amati soldatini di piombo fra l'idea di un ritornello e un remix che gli frulla in testa, e Moulding badare ai lavori di casa e legger libri in solitudine, e Gregory coltivare la sua collezione di chitarre elettriche stropicciate dagli anni (una bella Les Paul del 1953, una Rickenbaker 12 corde import originale 1964). Immersi nell'immobile acquario di una delle città storicamente più noiose d'Inghilterra, nessuno li distrarrà e nulla turberà l'infusione di quello strano tè delle cinque che è la loro musica. Miracoli delle periferie: dove si può ancora vagheggiare di essere "musicisti del 18° Secolo, senza radio o TV, senza lenti di ingrandimento che ti scrutano, conosciuti dal pubblico solo per i loro spartiti eseguiti da qualche orchestra." Mettete un disco al posto degli spartiti e avrete un'idea di quello che i tre intendono essere: un complesso di suoni e parole più che di persone. D'altronde, sempre A.P., "il bello degli XTC è che per la grande maggioranza del pubblico non hanno faccia". Molto chiaro e molto logico, da parte di uno che, fin da ragazzo, ha eletto a suo modello Howard Hughes, il miliardario invisibile.

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    (La voce fuori campo che si ascolterà spesso, virgolettata, in queste pagine, è quasi sempre quella di Andy Partridge. Lui il leader e grillo parlante della formazione, un po' perché autore principale ma molto anche per naturale esuberanza, logorrea congenita, andy-centrismo. Partridge taglia leggero i suoi giudizi e paradossi come si può fare con un limone sul tè del mattino; e siccome la sua lingua è acidula e profumata, con scarti lennoniani su un solido impianto di humour britannico, si sposa perfettamente con la musica XTC e ne costituisce il complemento ideale. Guai però a stabilir gerarchie dalle parole spese, altrimenti il muto Moulding avrebbe rilevanza lilliputziana: e invece, nonostante non ricordi una sola intervista rilasciata da lui solo, gli vanno riconosciute alcune delle più belle canzoni del catalogo. Quanto a Gregory, è anch'egli parco di parole, per timidezza ma anche per saggezza. A lui il compito di mediare fra le esplosioni dell'uno e le implosioni dell'altro e di decorare - la dolce metafora è di Partridge - le squisite torte dei due pasticcieri.)

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    (Una chiavina per capire Partridge e dunque gli XTC, piccola ma interessante, di quelle che facevan dire a Sherlock Holmes: "Il mio metodo lo conoscete, Watson, si basa sull'osservazione delle inezie". Dunque, Partridge è un innamorato del sonno, alla domanda "la tua occupazione preferita" ama rispondere "dormire in strane posizioni", in più di una intervista si è definito "uno sleep addict". Ma non è sonno quieto e profondo, è lui stesso a confessare incubi, sudori e agitazioni, e con quel che conosciamo del tipo, come dubitarne? "Specie quando sto facendo un disco e sono sotto pressione, ho più di un problema con il sonno. Il mio cervello non si spegne e mi capita di svegliarmi urlando come un licantropo. Urlo e mi graffio, faccio paura. Chi è in stanza con me dice che non sono più io ma un altro; e abbiamo elaborato anche un nome per questo animale notturno, si chiama Billy Bolls."

    Ora, serbate questa piccola traccia e usatela come sonda per i dischi XTC. Troverete musica di Andy Partridge e musica di Billy Bolls e molte cose, comunque, sarà che ormai siamo suggestionati, sembrerà chiaro che vengono dal vago mondo degli occhi chiusi.)

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    Andy Partridge, Colin Moulding e Dave Gregory si conoscono da sempre - "stessa città, stesso liceo artistico, stesso giornalaio e droghiere". Gregory è il più vecchio e un'enciclopedia vivente del rock minore a Swindon (dai Pink Warmth agli Ale House a Dean Gabber & The Gabardines) ma l'ultimo a entrare nella confraternita. Tutto comincia naturalmente da Partridge, curioso e inquieto fin dai '60, quando è ragazzino. I Beatles di A Hard Days Night sono la miccia, accesa poi dai Monkees della celebre serie TV. "Li guardavo e cercavo di imitare il loro stile allo specchio, usando una racchetta da tennis come immaginaria chitarra. Passai poi a uno strumento vero, una vecchia acustica che mio padre aveva suonato ai tempi dello skiffle quand'era in Marina e che teneva nascosta sotto il divano".

    Coerentemente con quegli amori, i primi dischi di Andy boy Sono MEET THE MONKEES e il SGT. PEPPER'S, seguiti da THEIR SATANIC MAJESTY degli Stones e da tutta una scia multicolore di 45 giri psichedelici che si riveleranno cruciali - See Emily Play e Arnold Layne dei Pink Floyd, My White Bicycle dei Tomorrow, Itchycoo Park e The Universal degli Small Faces. Mi sento di aggiungere i Pretty Things di S.F. Sorrow, i Bee Gees dei primi 45 giri inglesi, i Kinks di VILLAGE GREEN e dintorni, anche se non ho mai abitato a Swindon o frequentato lo stesso negozio di musica; ma se è vero il "montaggio onirico di suoni" che prima si diceva, nel catalogo XTC quei dischi si sentono. Diventato più grande, Partridge si apre a nuove cose ("Rumori!") e scambia la sua copia di THEIR SATANIC MAJESTIES con un Sun Ra e Ornette Coleman. Il cambio è sfavorevole ma non si può tornare indietro: "il tipo aveva rivenduto subito i miei Rolling Stone, così dovetti tenermi Sun Ra e, a furia di ascoltarlo, mi ci appassionai".

    Sono anni di ebbrezza, per Andy P., ma anche di angoscia. In famiglia, la madre mostra segni di squilibrio e per alcuni mesi, quando il ragazzo ha tredici anni, viene internata in un ospedale psichiatrico. Non se ne rimetterà mai completamente: "Ricordo ancora quando mi staccava la spina, mentre suonavo, e si piantava senza una parola in fondo alle scale, al buio". Andy stesso rivela turbe nervose e viene curato con abbondanti dosi di pastiglie che lo accompagneranno per anni, fino alle soglie del matrimonio. Anche per quello, a quindici anni Partridge abbandona la scuola e comincia a guadagnarsi da vivere con piccoli lavori. Per la musica c'è più tempo, tutto sommato. Comincia a bazzicare un negozio di strumenti musicali e lì conosce Gregory; e, per altre vie, diventa amico di Colin Moulding, un appassionato di rock un po' meno esotico e più terra terra ("Deep Purple, Free, Cream, qualcosa dei Jethro Tull") che viene convinto a imparare il basso. Le lezioni non sono ancora finite che i due hanno già un complesso, Helium Kids, "sorta di proto heavy rock glam psycho metal band". Sono le radici degli XTC, anno 1973. Ai due si uniscono il batterista Terry Chambers, un calciatore mancato poi apprendista tipografo, e per un breve periodo il chitarrista Steve Phillips, mentre la sigla rotola da Star Park a Skyscraper a Snakes. Nel 1976 il nome diventa ufficialmente XTC ("L'abbiamo trovato su un annuncio pubblicitario, faceva un bell'effetto sui manifesti") e un altro swindoniano, il tastierista Barry Andrews, fa il suo ingresso in formazione. Partridge ha cominciato a scrivere canzoni con mano disinvolta e la banda può debuttare con un repertorio originale all' "Affair", un piccolo club di Swindon.

    Sono i giorni dei punk e gli XTC ostentano sfacciataggine e modi bruschi: non proprio i vandali che nello stesso periodo mettono a ferro fuoco Londra (Clash, Pistols, Buzzcocks) ma teppisti maliziosi che giocano sul filo del rasoio. "Volevamo infastidire la gente, prenderla per il naso. Quella prima edizione della banda era la nostra versione dell'Arkestra di Sun Ra: rumore, pasticci con le note". La Virgin li scopre chissà come e li affida al produttore John Leckie per un fine estate di registrazioni agli Abbey Road Studios. Viene subito un singolo, Science Friction (ottobre 1977), presto ristampato in EP; e di lì a tre mesi un album per intero, WHITE MUSIC, preceduto da un altro 45, Statue Of Liberty. "Mi è capitato di rivedere qualche nostra esibizione di allora e c'è da tenersi i fianchi dal ridere. Il nostro unico fine era urlare, far casino, scandalizzare il pubblico". In realtà il giudizio è troppo negativo. Quei primissimi XTC legano ancora in bocca, come gli agrumi acerbi, ma rivelano anche doti non comuni. Partridge ha già imparato a lanciare esche traditrici e una canzone come This Is Pop? è fra le più belle e trascinanti dell'epoca; per non parlare di Science Friction, che allude a uno dei mondi magici del Partridge adolescente, quello dei fumetti. Ma è tutto il disco a vibrare di un suono divertente e mai claustrofobico, scandito dalla batteria trafelata di Chambers e dai farfiseggiamenti di Andrews, con felice variazione sui cliché dell'epoca. Dal punk, gli XTC prendono il gusto per la concentrazione esplosiva, l'amore per ritmi stretti e pezzi di icastica brevità; ma, con altri compagni di strada dell'epoca (il giovane Costello, l'Howard Devoto dei Buzzcocks), Partridge e Moulding mostrano di avere annusato bene i fiori del passato pop, prima che finissero nella spazzatura dove si compiacciono di ammirarli.

    WHITE MUSIC passa ventimila leghe sotto le orecchie del pubblico, in ben altre musiche affaccendato, e anche oggi è considerato il pezzo minore del catalogo XTC. Ma è tutt'altro che un brutto disco e la palese ingenuità è pari almeno al coraggio: non mi vengono altri termini per definire la scelta di All Along The Watchtower come unica cover, dieci anni dopo Dylan e soprattutto dopo Hendrix. Là dove tutti da sempre girano al largo, Partridge singulta ansiosamente con una armonica che ronza come un alveare: rischioso ma brillante, a tratti geniale.

    Con il loro primo, magro fagotto di canzoni, gli XTC lasciano Swindon per Londra e poi per l'Europa, di spalla ai Talking Heads. Anche quegli atlantici son punker finti o, meglio, "non definitivi", e hanno qualcosa da insegnare ai quattro provinciali. Ne sento l'eco tra le righe di GO 2, il secondo album registrato ancora con John Leckie e ancora ad Abbey Road nella tarda estate del 1978 e pubblicato poi in fretta, in autunno. Brani come Beatown o come Super-Tuff hanno qualcosa della nevrotica soavità di Byrne, oltre che dell'amfetaminata logorrea di Costello, e rivelano comunque un agio maggiore rispetto alle canzoni di un anno prima: il punk apre i suoi artigli e in filigrana agli XTC si cominciano a leggere il gusto per il gioco e la filastrocca in musica che presto si mangeranno la "miseria" degli esordi. Se GO 2 ha un difetto, è l'assenza di canzoni forti o subdole, di picchi per catturare l'attenzione, e per quello le vendite sono ancora una volta mediocri. Battery Brides è un grande pezzo, con i balbettii del canto e l'organo Teardrop Explodes, ma troppo raffinato, probabilmente, sottile fino a perdere profilo: e Are You Receiving Me?, uno scioglilingua in apnea registrato nello stesso periodo, non viene incluso nella stampa britannica del disco e recuperato solo per l'edizione USA, per quel mercato americano dove gli swindoniani cominciano ad avere piccoli fans.

    GO 2 viene promosso da un tour senza gloria, che passerà agli annali solo per essere l'ultimo del quartetto con tastiere. Al ritorno a Swindon, infatti, Barry Andrews abbandona il complesso, deluso dalla piega che stan prendendo le cose e frustrato dal poco spazio che Partridge e Moulding gli concedono (la miseria di due brani in repertorio). "Differenze personali", spiega burocraticamente il comunicato ufficiale del febbraio 1979, che sottolinea come "entrambe le parti non abbiano motivi di insoddisfazione". Partridge è più caustico: "Quando se ne va un tastierista si dice sempre che lo ha fatto d'accordo con gli altri: sono i chitarristi che vengono licenziati. Comunque in tre stiamo benissimo e ci definirei una Jimmy Edwards Experience". L'idea è quella di non sostituire Andrews ma di cambiare rotta, coinvolgendo qualcuno che possa dare una nuova e diversa impronta al complesso. Ecco allora apparire dalle brume dell'adolescenza la ben nota figura di Dave Gregory, tranquillo mago della chitarra. A lui il compito di guardar le spalle ai due inquieti esploratori, sistemando "tecnicamente" le disordinate intuizioni musicali della coppia e fungendo da trait d'union: "Dave è la nostra colla, senza di lui saremmo fili sciolti".

    Gregory esordisce al Routes Club di Exeter nell'aprile 1979, nel corso di uno dei frequenti live catastrofici del complesso: "Non eravamo riusciti a provare e io non avevo dimestichezza con l'impianto di amplificazione, così suonai tutta la sera a un volume assordante - sembravo Ted Nugent impegnato in una battaglia all'ultimo decibel con i Motorhead". Le cose vanno meglio nelle settimane successive e la nuova line up va in studio con Steve Lillywhite per il terzo album. Dev'essere il disco della consacrazione e il lancio verso l'empireo della new wave (si chiama ormai cosi) e in effetti le attese non vanno deluse. Colin Moulding è in grande forma e scrive due canzoni memorabili: la prima, Life Begins At The Hop, esce come singolo nel maggio 1979, precedendo di quattro mesi la seconda, Making Plans For Nigel, pezzo forte del long playing DRUMS & WIRES. E’ proprio Nigel, con la sua cadenza ballabile e il testo che racconta dell'eterno conflitto fra genitori e figli (una storia vera, per Moulding), a imporre finalmente gli XTC nelle classifiche, con uno spunto nei Top 20 inglesi che accende la luce al momento giusto.

    "Making Plans usci mentre eravamo in tournée" ricorda Dave Gregory "ed ebbe così successo da spingerci ad aumentare le date. Finimmo a Natale suonando quasi tutte le sere, e dai piccoli club eravamo passati ai teatri da 2.000 posti. Con il tutto esaurito! Finalmente avevamo la sensazione che qualcosa stesse accadendo, che si andasse da qualche parte". DRUMS & WIRES sfrutta l'effetto-volano del singolo e vende anch'esso bene. In realtà Nigel è solo una piccola parte di un ottimo lavoro, situato strategicamente a metà fra il passato e il futuro XTC. Le chitarre di Gregory hanno sveltito il suono, rendendolo nel contempo elastico e leggero, senza la nevrotico petulanza dell'organo. Il rock degli XTC rifiorisce così nello splendore della sua malizia, disegnato dalla voce di Andy P. e dai ricami stretti di Chambers, che la produzione mette in bella evidenza (cassa profonda, i piatti che esplodono a un dito dall'orecchio). Ma, più che una questione di formula, è il repertorio che vale: brani di lunatica soavità come Millions, filastrocche impastigliate come Reel By Reel [sic] o Scissor Man, fino a una ballata selvaggia come Complicated Game, pezzo fra i più trascurati e pure affascinanti, dove Partridge sfoggia con gusto feroce tutto il suo catalogo di balbettii, parole soffocate in gola, singhiozzi, fino alla masticazione del microfono, all'urlo primordiale che è il suo pezzo forte. Giunti da qualche parte sulla via del successo, gli XTC sentono il bisogno di confermarsi e si impegnano per un seguito forte a Nigel. Nessuno stress, comunque, se è vero che nel bailamme che li coinvolge alla fine del 1979 (i media sembrano scoprire il gruppo per la prima volta) Partridge trova il tempo di andare in studio con il produttore John Leekie e, con sole 2.000 sterline di budget, registrare una curiosa operina, THE LURE OF SALVAGE, pubblicata poi nel febbraio 1980. Il metodo è quello della "cucina degli avanzi". Andy il cuoco prende brani XTC già famosi, li "processa" elettronicamente e cambia a capriccio ritmi, timbri, atmosfera, secondo quella filosofia di "nuova musica al quadrato" che nello stesso periodo van filosofando i Byrne, gli Eno, i Fripp. Il risultato è affascinante e ambiguo: da popper raffinato quale è, Partridge si camuffa da homo electronicus e porta un allucinato contributo alla definizione del techno rock allora nascente.

    Il seguito di Making Plans For Nigel può attendere e comunque appare una notte alle 3 all’insonne Partridge, che, tutto eccitato, si convince di aver trovato il pezzo della sua vita. "Nella mia candida ingenuità ero convinto di avere scritto la nuova Hey Jude, il pezzo che ci avrebbe catapultato al numero 1 delle classifiche! Non sapevo che avrei preso il più potente calcio sui coglioni di tutta la mia carriera." Wait Till Your Boat Goes Down, il frutto della visione notturna, naufraga in effetti tra l'indifferenza generale e riporta gli XTC al punto di partenza, come in un gioco dell'oca sfortunato. A Partridge la magra soddisfazione di considerare quel pezzo, ancora oggi, "il migliore che abbia mai scritto"; ma forse è solo un moto d'orgoglio, perché in effetti quella fischiettante melodia non ha la stoffa delle migliori cose XTC e, soprattutto, manca dell'energia necessaria per tener dietro a Nigel.

    "Dopo Wait Till Your Boat Goes Down piombai in un periodo di depressione e umor nero. Ci eravamo rifugiati a Swindon, dopo un tour mondiale con Police e UB40 che ci aveva consumati, e nessuno di noi aveva voglia di tornare in studio. Ci toccò farlo, a un certo punto, e allora buttammo lì l'idea di produrre un disco da soli, in libertà. Niente da fare, la Virgin non si fidava. Così tornò Lillywhite. Il titolo si riferisce appunto a quel clima di scontento claustrofobico; e la copertina rende l'idea dell'oscurità che volevamo esprimere." BLACK SEA, pubblicato nel settembre 1980, è in realtà disco meno cupo di quanto lascino intendere le memorie di Partridge. E’ anzi un passo deciso verso il pop, anche se gli XTC non rinunciano al loro patrimonio di ritmi vulcanici, vocalizzi urlanti, armonie acrobatiche come su una montagna russa. Il morale è basso ma la mano di Partridge e Moulding è felice e calda, e sigla alcune delle pagine migliori di tutto il repertorio: Generals & Majors diventa un discreto successo da classifica e Sgt. Rock, Respectable Street e Living Through Another Cuba si impongono fra i pezzi più gettonati del juke box XTC. Ha ragione comunque Partridge quando parla, ancora, di "disco schizofrenico, fatto di alti alti e bassi bassi". Quello che manca all'album è proprio la continuità, la coesione: e si passa con vertiginoso stupore dalla leggerezza da carillon di Love At First Sight alla delicata desolazione di Language In Our Lungs (un altro pezzo di Andy P. sulla incomunicabilità, come già Are You Receiving Me?) fino all'inferno in musica di Travels In Nihilon, caotico brano basato su un racconto surreale dello scrittore Alan Sillitoe che gli XTC ricordano come "una specie di Frankestein scappatoci di mano". A rendere l'idea della "doppia anima" del disco, basti fra tutti Living Through Another Cuba: è un pezzo sulla paranoia nucleare ma ha accenti giocosi, da nursery rhyme, come se l'Apocalisse annunciata finisse per tramutarsi in un lunatico tea party. Con BLACK SEA, gli XTC collezionano il cospicuo record di quattro album in nemmeno tre anni, una media da complesso beat. Vorrebbero tirare il fiato ma non possono, impegnati come sono a seminar concerti in tutto il mondo (vedremo poi con quali risultati). Suonano a Cardiff il 2 giugno 1981, e sarà l'ultimo show di sempre in terra britannica, e in autunno vanno ancora in studio a registrar canzoni, questa volta con Hugh Padgham, promosso a produttore dopo essere stato tecnico dei suono vice Lillywhite nei due LP precedenti. Son ritmi di lavoro stressanti e assai poco swindoniani ma "trattandosi di artigianato, più ci lavori, più ti viene meglio". Così, all'appuntamento in sala per il quinto album, Partridge e Moulding si presentano addirittura con trenta canzoni: e nessun riempitivo, anzi, molti assi da calare sul tavolo, per un disco che alla fine non può non essere doppio - ENGLISH SETTLEMENT. E’ l'opera più ambiziosa e matura del complesso, che si diverte a sperimentare stili diversi e a confezionare in studio complicate trame sonore dove l'ultimo grido tecnologico si sposa con geniali trucchi di registrazione naif: così Melt The Guns e No Thugs In Our House continuano la brillante tradizione di pop-agitazioni del gruppo, con encefalogramma in burrasca, mentre English Roundabout e Jason & The Argonauts riprendono certo gusto per la ballata pastorale, It’s Nearly Africa prova con passione e humour la via della musica esotica e Fly On The Wall usa le nuove tecnologie per regredire innocentemente alla teenage music dei '60. Tre i 45 giri tratti dall'album: No Thugs In Our House e Ball And Chain (di Moulding) combinano poco, secondo la miglior tradizione di "belli e perdenti" del gruppo, mentre Senses Working Overtime tocca addirittura i Top 10 ed è un mistero anche per Partridge - "credevo di aver scritto un pasticcio, con passaggi da colonna sonora di film sovietico su un ritornello alla Flamin' Groovies".

    ENGLISH SETTLEMENT batte tutti i record di vendita XTC e passa alla storia come "il doppio verde" degli swindoniani, così come in passato c'era stato un "doppio bianco" per quegli altri Favolosi. Esagerato? Impreciso, piuttosto. Per creatività e cura della confezione, il paragone più corretto sembra quello del SGT. PEPPER; e, non a caso, il massimo di finezza e di successo coincide con la fine di un'epoca. Dopo di quello, il diluvio.

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    "Decidemmo di lanciare ENGLISH SETTLEMENT con un giro del mondo a concerti," racconta Dave Gregory "da marzo fino all'estate del 1982. Lo show era il più sofisticato della nostra carriera ma fin dall'inizio le cose non andarono bene. Andy stava male, si era imposto una dieta vegetariana e pareva malato. Esibirsi in pubblico, poi, lo rendeva nervoso. Tutto culminò a Parigi, la sera del 18 marzo. Facemmo appena in tempo ad attaccare il primo pezzo, Respectable Street: Andy non lo finì nemmeno, scappò di scena e lo trovammo in camerino, sconvolto e tremante. Era chiaro che non poteva continuare." La ricostruzione di Partridge coincide ed è ancora più cruda: "Mi accorsi in quel periodo di avere maturato negli anni una vera e propria fobia nei confronti del pubblico. Si stava chiusi per giorni in hotel senza vedere nessuno e poi, di colpo, avevi di fronte cinque o diecimila persone: per non parlare di quel che si mangiava, quando si mangiava. Inconsciamente finii per stabilire un'associazione: tournée uguale malattia. Quella volta, a Parigi, erano tre giorni che non mi nutrivo e mi era cresciuta un'avversione insopportabile nei confronti del pubblico. Collassai alle prime note dei primo pezzo e decidemmo di annullare le date seguenti. Tornai in Inghilterra e feci il giro dei medici: psichiatri, specialisti in malattie nervose, anche un ipnotista. Pensai di aver trovato la cura e partii con gli altri per gli Stati Uniti. La prima data era a San Diego e fu terribile. Non provavamo da quindici giorni e già era un problema, ma io mi sentivo come se non avessi mai preso in mano una chitarra. La sera dopo, a Los Angeles, mi decisi a smetterla: stavo diventando matto, non potevo continuare più in quello stato." Si può disquisire sul fatto che Partridge non è mai stato una roccia e ricordare le turbe mentali dei suoi anni più giovani, la lunga dipendenza dai farmaci: ma, a ricostruire dai documenti e dalle testimonianze i cinque anni di vita on the road degli XTC, si ha l'idea comunque di un piccolo inferno che avrebbe sfilacciato i nervi di chiunque. "Dite un nome qualsiasi del mondo anglosassone e gli XTC vi hanno suonato. E non una volta, due. Da Bonefuck, Wyoming, a Gallbladder, Nuovo Galles del Sud. E tutto questo per una paga settimanale, chiamiamola così, che i primi anni era di 25 sterline." Non è solo la girandola dei concerti e degli spostamenti a stressare i musicisti e a mettere a dura prova la loro salute (Partridge aveva già sofferto di un collasso nervoso nel 1979); conta anche la frustrazione di suonare in posti spesso infimi, davanti a pubblici non qualificati, alla mercé di ogni sorta di incidenti ed equivoci. Nella mitologia del gruppo è rimasta leggendaria una serata a Wissenhoe, Germania, tour del 1979, durante la quale il camion che trasportava gli strumenti si perse per strada e gli XTC furono costretti a suonare "con due chitarre da Postal Market e una batteria giocattolo", senza parlare di quell'altra volta a Caracas, Venezuela (non proprio la capitale del rock), con la polizia sul palco a manganelli sguainati mentre in sala qualcuno divelleva le sedie e le incendiava, o ancora a Brisbane, Australia, in una sala-ristorante con il cameriere impegnato a urlare le ordinazioni per altoparlante mentre gli XTC provavano.

    Poteva mancare l'Italia, in una simile "bottega degli orrori"? "Era il marzo 1978, avevamo un contratto per alcuni concerti dalle parti di Genova. Ma venne assassinato Aldo Moro e per motivi di ordine pubblico gli spettacoli vennero sospesi. Ci abbandonarono tutti e, senza un soldo, finimmo in un albergo per invalidi sulla Riviera, dove ci davano da mangiare pappette per anziani con problemi di masticazione".

    (Gli XTC sarebbero poi riusciti a suonare in Italia in altra occasione, anzi, proprio da noi avrebbero tenuto uno degli ultimissimi show come-si-deve. Ricordo di averli visti a Genova, Teatro Massimo, marzo del 1982, con lo spettacolo di ENGLISH SETTLEMENT. Grande energia e musica brillante, anche se Partridge aveva rischiato fino all'ultimo di dare forfait per una gastroenterite - la solita angoscia, azzarderei, più che un pesto mal digerito).

    Sono passati dieci anni e gli XTC non si sono ancora rimangiati quella decisione: che ha messo radici, anzi, e che Partridge è in grado di spiegare convincentemente anche al di là del caso personale. "Una volta che sei entrato nella logica dei concerti dal vivo, e parlo soprattutto dei concerti in grandi spazi, ne sei prigioniero. Ci sono cose che ti vengono spontanee una volta, che vanno bene e che allora finisci per ripetere sera dopo sera, automaticamente, come un robot. Meglio liberarsi di questo fardello e pensare alla musica veramente, a quello che puoi fare in studio; anche se non sono molti i complessi che hanno fatto questa scelta e non c'è una storia da cui trarre esperienza. lo resto dell'idea che le esibizioni dal vivo con la musica c'entrino poco. Sono fenomeni sociali, quasi sempre. Quelle che vengono meglio sono dello stesso genere delle partite di calcio: si crea una comunione emotiva, tutti sono sulla stessa lunghezza d'onda, come a un concerto di Rod Stewart, dove le signore in sala sbavano e hanno le smanie, o a una serata dei Grateful Dead. Io, tutte le volte che ho suonato, avrei dato non so cosa per essere nel pubblico."

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    Dopo la serata fatale di Los Angeles, gli XTC fanno ritorno a Swindon per ritemprarsi e meditare sul futuro. Non tutti, però: Terry Chambers ha la fidanzata incinta in Australia e la raggiunge, assicurando che prima o poi tornerà. Passano i mesi e la tensione si attenua. Andy P. rifiorisce tra le mura domestiche e scrive di buona vena una serie di pezzi nuovi, così come Moulding. Bisognerebbe provarlo, quel nuovo repertorio, ma Chambers è sparito. Alla fine si fa vivo ma non è più come prima. "Sembrava aver perso l'animo di suonare. Ci trascinammo per quattro o cinque settimane di prove fino a che, un bel giorno, Terry depose le bacchette e si confessò. 'Sto fingendo, qui, e non sono neanche un gran batterista. Dovrei essere in Australia con la mia donna e invece perdo il mio tempo e mi struggo. E poi non saremo mai nessuno: sono troppo bislacche, le canzoni degli XTC'."

    Sono gli ultimi mesi dei 1982 e il gruppo è costretto alla seconda svolta della sua carriera, dopo il passaggio dalla formula-Andrews al rock Gregoryano. La decisione, imprevista e coraggiosa, è di non sostituire stabilmente Chambers ma di affidarsi di volta in volta a un diverso batterista. "Il motivo fondamentale è che, avendo deciso di abbandonare i concerti, c'era poco da offrire a un nuovo membro. E poi non sarebbe stato di Swindon: e c'è tutto un gergo e un modo di capirci, fra noi cresciuti insieme, che fa da sbarramento agli estranei". Il primo drummer ospite è Peter Phipps, un ex della Glitter Band abbastanza noto nel giro dei "turnisti" londinesi. E’ lui ad accompagnare i tre rimasti (i Fab Three, a questo punto) al castello di Manor, dove per tutto l'inverno dell'82-'83 e poi ancora in primavera gli XTC cercano di far tornare i conti con un LP progettato come il trionfale seguito del loro best-seller e rivelatosi invece, giorno dopo giorno, il primo, grande, incubo della loro discografia. Steve Nye, il produttore scelto in origine, viene abbandonato a metà del cammino. "Era un perfezionista pedante, uccideva la nostra spontaneità. Quando riascoltammo i pezzi preparati con lui, ci caddero le braccia: non c'era vita, tutto era stato ripulito fino allo svuotamento." In sua vece viene chiamato Bob Sargeant ma neanche con lui c'è affiatamento e devono intervenire altri due produttori (Alex Sadkin e Phil Thornalley) per il mix finale. La Virgin non manca di contribuire alla confusione, chiedendo l'aggiunta di "un pezzo forte da 45 giri" (e Partridge scrive allora Great Fire), oltre a rifiutare la copertina originale, degradata a inner sleeve. Così il titolo, che allude all'usanza britannica del tempo di Natale di visitar le case mascherati di carta, resta un po' monco e incomprensibile, e acuisce le frustrazioni del complesso.

    Per tutte queste traversie, MUMMER esce solo alla fine dell'agosto 1983 e manca clamorosamente le classifiche. Nessuna meraviglia, d'altronde. Le troppe stesure e rifacimenti si sentono, tra le righe, ed è come se snervassero il repertorio, che ha dalla sua già una fragilità di partenza, una delicatezza difficile da rispettare. "MUMMER venne concepito d'estate, in giardino, e risente di quella nascita 'pastorale'. Noi poi stiamo in campagna, o almeno defilati dalle metropoli, e allora ci viene spontaneo cantare quel mondo: comunque lo si giudichi, squallido o attraente." Non tutto è così nel disco e pezzi come Beating Of Hearts (con una cadenza di ballo tzigana), Funk Pop A Roll o Deliver Us From Elements ("una preghiera pagana davanti a un altare dei Druidi", ha scritto bene un recensore) introducono elementi d'inquietudine e colori scuri nella trama. Il cuore di MUMMER sta però nei brani più pastellati come Love On A Farmboy's Wages, Wonderland, Ladybird, dove le tensioni nevrotiche del passato anche recente si risolvono in una celebrazione della semplicità e della naturalezza: chitarre acustiche, archi veri e non sintetici, un trombone in Gold, con una dolcezza dovuta anche, incidentalmente, allo stile morbido del nuovo batterista ("Ladybird era in origine un pezzo più duro, poi Pete ci ha messo le bacchette e l'ha trasformato così: una specie di Pentangle in acido con un po' di Dave Brubeck"). Ma guai a pensare a una New Age degli XTC, che non è il caso. Accanto a pezzi "biodinamici" e perfettamente degradabili, gli swindoniani non rinunciano alle loro manipolazione in studio, anzi, si divertono come non mai con l'elettronica "povera": suoni di elettrodomestici pervertiti anziché CMI Fairlight e trucchi da sala di registrazione anni '60 come in Beating Of Hearts, dove il suono distorto di due chitarre 12 corde simula i timbri esotici di una cetra.

    MUMMER fa poco o niente nelle classifiche britanniche (51° posto, per la storia) e passa inosservato negli USA, dove i piccoli fans non crescono. Liberi da impegni di concerto, gli XTC hanno modo di rifletterci su e a marzo dell'anno seguente sono già in sala, ai Crescent Studios di Bath, per un nuovo LP, ancora con Peter Phipps alla batteria. Le registrazioni questa volta filano lisce, anche perché finalmente gli XTC ottengono lo scettro di produttori, in società con David Lord. Il settimo album va a chiamarsi THE BIG EXPRESS, in onore a Swindon, città storica delle ferrovie britanniche "diventata con gli anni cimitero degli elefanti, fossile di se stessa": se non bastassero il titolo e la ruota di copertina, a spiegarlo c'è un bel pezzo tutto sudore, fumo e pistoni, Train Running Low On Soul Coal. Il brano è eccentrico ma rende il clima dei disco: sporcizia, macchie di suoni e spigoli ritmici, tutto il contrario della luce soffusa su MUMMER. "Fin dagli inizi THE BIG EXPRESS fu un disco estroverso, concepito col desiderio di ritornare a un suono primitivo di chitarra elettrica. Era una reazione a MUMMER, anche e soprattutto, al nostro disco più decorativo e floreale. In origine doveva chiamarsi HARD BLUE RAY HEAD, poi THE FACE, poi ancora BIG EXPRESS: ma questa idea di una struttura di fondo molto semplice è rimasta. Direi che basilarmente è rhythm & blues: una dura spina dorsale R&B che alcune volte resta nuda e in altri casi viene sormontata da decorazioni rococò."

    Wake Up, il pezzo iniziale (di Colin Moulding), è un po' la spia di questo mare agitato in cui il vascello XTC ha deciso di spingersi: un "porridge celestiale, con un rozzo suono Neil Young" in cui suoni onirici e rumori della realtà si mescolano in forma di teso pop rock, cercando di rendere l'idea di un lento risveglio mattutino. Shake You Donkey Up è di una pasta simile, con le sue sincopi zoppicanti e il testo in pidgin english, mentre All You Pretty Girls, primo 45 giri dell'album (l'ennesimo 45 non rappresentativo e un po' casuale), cerca di spostare il discorso verso la ballata di grana grossa, "qualcosa che ricorda i canti dei balenieri ma anche certi temi western, tipo 'Bonanza"'. Ma il bello di THE BIG EXPRESS sta proprio nell’inquietudine che a tratti fa paura, anche se non pesa, non soffoca mai: in Seagulls Screaming Kiss Her Kiss Her, un brano rimasto un paio d'anni nel cassetto di Partridge come strumentale elettronico prima di diventare claustrofobica canzone sulle ossessioni d'amore, o in This World's Over, che dietro a una melodia fra le più belle e struggenti di tutto il repertorio, con liquidi suoni di synt, nasconde l'orrore per l'Apocalisse nucleare.

    THE BIG EXPRESS è disco accuratissimo, finito e rifinito in mesi di lavoro in sala ("Lo studio costava relativamente poco e finalmente abbiamo potuto lavorare come ci piace, provando, gettando lì idee e schizzi"). Dal lento plasmare la musica, "come una scultura", viene una girandola di suoni brillanti e sorprendenti: chitarre beat, l'armonica surrealmente distorta di Reign O' Blows, un violino molto nature e poi la solita festa di effetti elettro-cheap (portacenere, scatole di biscotti, tubi di gomma). "A volte andiamo a cercarci dei guai quando basterebbe schiacciare un bottone del synt. Ma a noi piacciono i suoni veri, viscerali, con le loro imperfezioni. Così, all'inizio di All You Pretty Girls c'è un rumore che sembra sottomarino, e sono vari strati di mellotron leggermente dissonanti, con un segnale inviato attraverso un piccolo altoparlante a un microfono posto in un secchio di metallo, con un tubo di cartone attaccato col nastro adesivo sopra al microfono."

    Quando THE BIG EXPRESS esce, nell'ottobre 1984, gli XTC sono usciti dal loro periodo nero e hanno recuperato fiducia. Partridge in particolare è su di giri e accetta la proposta di produrre con John Leckie un disco della cantautrice canadese Mary Margaret O'Hara. L'esperimento dura poche settimane, dopo di che Andy e il suo compare vengono licenziati per alcuni caustici giudizi sul complesso di accompagnamento della girl ("Sembravano gli Shaggs. Non erano neanche capaci di accordare gli strumenti!"). Si apre un inatteso spiraglio di tempo libero: e l'ozio porta con sé la conturbante idea di rimodellare l'anima (la rubber soul) degli XTC...

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    Nel 1967 Andy Partridge aveva appena dieci anni e, tra astucci e merende alla Primary School di Swindon, poteva solo seguire da lontano, come una fiaba per grandi, l'avventura psichedelica. Ne sarebbe comunque rimasto folgorato tanto da vagheggiare, diventato ragazzo rock, una personale appendice a quella storia. Dave Gregory racconta che già nel 1979 Partridge gli aveva proposto di fondare un complesso ispirato alla Londra in technicolor dei primi Floyd, del "Magical Mystery Tour", della Satanica Maestà jaggeriana, per il quale aveva trovato anche un nome (Electric Bone Temple). Le molte difficoltà di quei primi anni XTC avevano abortito il progetto ma a Andy P. era rimasto un po' di acido nei pensieri ed è storia che ancora nel 1982, all'epoca delle sedute per GO 2, l'ipotesi era tornata a manifestarsi, corredata da un paio di pezzi-campione: Orange Dust e Shaving Brush Boogie, presto archiviati con un "non luogo a procedere". Non c'è cura, peraltro, per il mal di psichedelia, e Partridge aveva continuato a soffrirne ancora negli anni seguenti, curandosi nell'unico modo possibile: scrivendo canzoni profumate, immergendo la sua chitarra in un immaginario 1967 e i suoi pensieri in quel mondo ormai remoto "prima di tutto, dei free festivals e della rivoluzione, di David Cassidy e David Bowie, degli spilloni punk e dei sintetizzatori".

    La fatale pausa della fine 1984 lo trova con cinque canzoni non XTCibili, che però sarebbero buone, ottime, per quell' "altra cosa". Ai compagni l'idea piace, i discografici ne fan solo una questione di costi. se il budget è stretto, non oltre le 5.000 sterline, si può fare. Per quella cifra Partridge affitta una chiesa sconsacrata trasformata in studio in un paesino vicino a Hereford, dove al piano basso c'è la sala d'incisione e sopra il deposito di una piccola etichetta di musica sacra. Nella mescolanza di incensi vengono rapide sessions per non più di due settimane: con i Fab Three è coinvolto nel progetto il fratello di Gregory, Ian, batterista, mentre il produttore è John Leckie, un po' perché in sintonia perfetta con Radio Swindon e un po' per i trascorsi psichedelici (originali), avendo iniziato la carriera come garzone di studio ad Abbey Road giusto nel 1967 - la sua timida manina, fra l'altro, nel mix di Vegetable Man dei Pink Floyd. I cinque pezzi vengono benissimo e, già che c'è, Partridge ne scrive un sesto direttamente in studio, Mole In The Ministry, rielaborando sulla frequenza dei sogni il "Mystery Tour" dei Beatles e in particolare il Tricheco di Lennon. "Erano anni che non ci divertivamo tanto" giurano i quattro quando tornano a Londra con i nastri per un mini LP, 25 O'CLOCK: e il gioco non finisce sull'ultima pennata di chitarra, perché c'è tutto un corredo di fantasie con cui confezionare la musica. La sigla, innanzitutto, che non può essere naturalmente XTC e diventa The Dukes Of Stratosphear, recuperando una vecchia idea della preistoria swindoniana; e poi i nomi dei protagonisti, che camuffano la banale anagrafe ammantandosi di magia a buon mercato, tra fiaba, fumetto underground e Oriente da cartolina - Partridge diventa così Sir John Johns, Moulding è The Red Curtain, il Gregory maggiore si fregia dei titolo di Lord Cornelius Plum e il minore passa alla storia come E.I.E.I. Owen. La scrupolosa finzione porta a una copertina in perfetto stile "post Sgt. Pepper" e a note profumatamente deliranti, come da estate del peace & love: "i Duchi dicono che è tempo... tempo di visitare il pianeta del sorriso... tempo che si sganci la bomba dell'amore... tempo di nutrirsi di musica... di baciare il sole... di naufragare nell'orgasmo sonoro... di ballare oltre lo specchio. I Duchi dichiarano che è giunta la Venticinquesima Ora."

    Nella sua instancabile attività di falsificatone psichedelico, Partridge inventa un Guru Ducale (Swami Anand Nagara) e si spinge alla finezza di un (in)verosimile comunicato-stampa disegnato con la penna traballante e la testa in fumo di quegli anni. Eccone il testo originale: "Cioè, io e i ragazzi abbiamo un po' strippato suonando blues con le palle e così a un certo punto abbiamo deciso di affittare un cottage in campagna e di cogliere le vibrazioni e l'aria fresca di quel posto, mangiando un po' di funghi. Quaaaanti funghi! Cioè, dopo alcune settimane abbiamo cominciato a suonare in libertà, trovando certi accordi nuovi davvero forti, e poi Lord Cornelius ha trovato un clavicembalo dimenticato in qualche angolo e uno dei roadies ha portato a Sir John un nuovo sitar direttamente dall'India, capace di produrre certi suoni 'spaziali'. Lo abbiamo usato in Mole From The Ministry e, dopo sei pezzi, non reggevamo più e siamo scoppiati. Cioè, abbiamo portato i nastri alla casa discografica a Londra, un posto con le palle davvero dopo il cottage in campagna, e a loro è piaciuto ma hanno obiettato che avrebbe rovinato la nostra immagine di banda con le palle e allora abbiamo deciso di usare uno speudo.... uno peusdo.... insomma un nome diverso, e il disco avrebbe dovuto costare poco perché sono solo sei pezzi, ma è uno sballo e noi vorremmo che i nostri dischi uscissero tutti gratis. Poi il nostro amico Ken, che è daltonico, ha disegnato la copertina che è uno sballo, dopo aver preso delle pillole con quattro acidi e una bottiglia di rum. I colori sono magici, davvero cosmici e brillano al buio. Noi non volevamo che i discografici promuovessero il disco, perché sono porci capitalisti, ma faranno comunque pubblicità su Zig Zag, IT, Rolling Stone, Dark Star, Disc & Music Echo, Oz e ci costringeranno ad andare in TV (sempre che qualcuno ci voglia). Se ci rifiutiamo, hanno già detto che ci ritirano il pakistano nero."

    Molto opportunamente, 25 O'CLOCK esce il 1" di aprile, giorno dei gonzi, a rimarcare che di grande scherzo si tratta più che di revival Bevis Frondico. Ma nel ricamo a grana grossa di Love-Ins e Technicolor Dream si coglie ben chiaro il filo dell'amore: è un magico divertimento infantile per Andy P. (un po' come dipinger soldatini e giocare ad Austerlitz o a Waterloo) il furto e collage di assoli di chitarra, effetti speciali, ritmi e parole che possono essere Pink Floyd o Tomorrow, Beatles o Electric Prunes (basta un ascolto a capire che la title track è una spudorata contraffazione di I Had Too Much To Dream). Al grande gioco manca solo un tassello, quello video, ma non crediate che i Duchi non ci avessero pensato. "C'era un bel progetto che coinvolgeva i Media Lab di Godley & Cream, doveva occuparsene un collaboratore che era un nostro grande fan, Steve Blood, che purtroppo venne licenziato prima di attuare la cosa. Era un cortometraggio basato sulla figura di Uncle Alfred, un personaggio di 25 O'CLOCK, che costruisce un orologio di 25 ore come oggetto promozionale per i Dukes. Ma le Talpe del Ministero, che vivono sottoterra in un grande palazzo a forma di cipolla del nonno, glielo rubano e così i Dukes sono costretti a mettersi alla ricerca. Doveva essere un film di tracce qua e là, un nascondino per immagini come Catch Us If You Can dei Dave Clark Five".

    Lo scherzo paga e le 30.000 copie vendute di 25 O'CLOCK fanno stupore: freaks fuori tempo massimo, giovani acidofili, enigmisti del rock, tutti sembrano gradire e, come sempre accade, chiedono di più. "I Dukes sono attualmente a spasso per l'Himalaya" fa sapere Partridge per guadagnar tempo "e, se il cibo non finirà prima o altri casini, torneranno in Gran Bretagna in autostop non prima dell'inizio dell'anno prossimo". In realtà gli XTC hanno altro per la testa e sulle prime neanche vogliono sentir parlare di un seguito. Si convincono però col tempo, anche perché la mano sinistra di Andy P. continua a scrivere pezzi che la destra considera troppo "tendenziosi" per il normale repertorio. Così, "prigionieri del Frankestein che abbiamo creato", gli XTC ritornano in studio all'inizio dei 1987. Alla batteria c'è sempre Ian Gregory, alla consolle John Leckie, e la scelta dello studio è ancora una volta provinciale: una piccola sala a Cornwall, senza grandi macchine ma con la desiderata tranquillità.

    Il lavoro finisce in fretta e nell'agosto 1987 i Dukes possono presentare il primo LP intero, che in omaggio a uno dei maestri riconosciuti del beat psichedelico (Eta Beta) viene a chiamarsi PSONIC PSUNSPOT: dieci canzoni che, secondo le regole del gioco, dovrebbero situarsi in un'epoca appena più tarda delle prime, diciamo la primavera/estate dei 1968. In realtà il "paesaggio immaginario" è genericamente quello degli anni '60 e, accanto ad "acidità" e a schemi proto-progressive, si possono ascoltare refoli di beat ai tempi supplementari e, anche, intermissioni pop da ultimi giorni del decennio (cosi per esempio il 45 guida del disco, la filastrocca Bonzo-scaffoldiana di You're A Good Man, Albert Brown). I brani di qualità superiore non sono più di due/tre (Vanishing Girl, Collideascope, forse Pale & Precious per la scrupolosa immedesimazione nel Brian Wilson di PET SOUNDS) ma, come già in precedenza, più della semplice resa sonora incanta la virtuosistica capacità di fare pastiche, l'enciclopedica cultura di minuzie psicopoprock che vanno a comporsi arcimboldescamente in un ammirevole "falso d'autore". Stando così le cose, non sembri pedante riportare una bella analisi dei disco brano-per-brano a firma Partridge e Gregory, apparsa sul numero 3 della rivista Strange Things, marzo 1988. Nella Settimana Enigmistica che i due dischi Stratosferici in fondo sono, questa è la pagina della "soluzione dei giochi".

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    "Brainiac's Daughter è un tentativo volontario di scrivere come avrebbe potuto fare Paul McCartney ai tempi del SGT. PEPPER o di Yellow Submarine, 1967-68. Tutti gli ingredienti sonori sono stati scelti a questo scopo: il pianoforte suonato in quel certo modo, la sequenza di accordi discendenti, le parti cantate in falsetto, il testo non sense... Una zuppa psichedelica alla McCartney, questo abbiam cercato di fare; anche se, alla fine, la gente ha finito per trovarci piuttosto qualcosa della Bonzo Band, o di Thunderclap Newman.
    Have You Seen Jackie è stata scritta per 25 O'CLOCK; in origine si chiamava Have You Seen Sydney, riferimento diretto al nostro Syd. C'è dentro di tutto: il personaggio della storia e la storia stessa rimandano a Keith West, Mark Wirtz, la Teenage Opera.
    Pale And Precious è lì da sentire: Beacb Boys, chi altri? E’ stato il pezzo più difficile da realizzare. C'è una bella melodia, e anche un po' di stupidità nella parte surf, ma soprattutto il gusto per certe sonorità da chiesa e da organo di Bach che intrigavano Brian Wilson a quell'epoca.
    Vanishing Girl è indirizzata decisamente verso gli Hollies. La formula di quel complesso prevedeva due cantanti all'unisono e così abbiam fatto io e Colin, gettando poi le nostri voci in una amorfa schifezza beat.
    Shiny Cage era in origine un brano scritto da Colin per THE BIG EXPRESS. Lo avevamo rifiutato perché era troppo stupidamente Beatles: tutto REVOLVER in una canzone sola! Colpi di chitarra Epiphone, accompagnamento di tabla, chitarre registrate al contrario, un assolo di chitarra dissonante ma melodico alla George Harrison... Ancora un tentativo di forgiare un'epoca e individuare un'area musicale però lavorando con i frammenti, condensando tutto in un pezzo solo.
    Little Lighthouse era un pezzo che avevamo cominciato a incidere per SKYLARKING. A Todd Rundgren, il produttore, era venuto a noia, così ho pensato che avrebbero potuto farlo i Dukes: e i Dukes han finito per dargli un suono come un mucchio di bande imitatrici degli Stones.
    You're My Drug è stata composta con l'intenzione di mescolare Monterey di Eric Burdon e So You Want Be A Rock & Roll Star. Monterey è uno degli scherzi musicali che preferisco; proprio non so cosa potessero pensarne i californiani e come giudicassero Eric Burdon - uno gnomo di Newcastle! In origine anche questa era una canzone XTC ma poi suonava troppo Byrds, con quella sequenza armonica così West Coast..zzzi
    You're A Good Man, Albert Brown è psichedelia da pub, senza riferimenti specifici, solo un'idea di suono: il suono del pub che sta all'angolo di Carnaby Street. Potrebbe esserci un pensionato di Chelsea appena fuori dalla porta, magari il nonno di Steve Mariott! E Jimi Hendrix che si fa vedere fra un set e l'altro al Marquee per una mezza pinta di birra... E’ un po'come Over The Wall We Go di Oscar o I Knew Kaiser Bill's Batman di Whistling Jack Smith o The Universal, o un paio di cosucce Bonzo.
    Colin aveva scritto
The Affiliated pensando al prossimo disco XTC ma ha preferito inciderlo in fretta temendo che ce ne stancassimo; così è mutata la natura della canzone, che ha preso dei connotati vagamente Ray Daviesiani. La parte centrale è un tentativo di suonare come gli Unit 4 + 2 di Concrete & Clay: percussioni, chitarre acustiche, un vago clima latino.
    Collideascope è Lennon ma gli accordi sono quelli di Blackberry Way dei Move; diciamo allora che sono i Move che rubano dai Beatles. Il testo l'avevo pronto dal 1978 ma non l'avevo mai usato perché pensavo che avesse un'aria troppo psichedelica. Gli ef- fetti sonori vengono dal film Nearest And Dearest, con Jimmy Jewell e Hilda Baker. e c'è un urlo preso dall'archivio degli effetti sonori della BBC.
    Your Gold Dress è stata la prima cosa scritta per 25 O'CLOCK: l'idea base è il più stupido riff mai scritto nella storia dei riff, e su quello abbiamo costruito il pezzo. La sonorità l'abbiamo rubata al Nicky Hopkins di She's A Rainbow, e dico Nicky Hopkins perché quel disco è suo, senza di lui gli Stones di quell'epoca non avrebbero mai quagliato niente. Hopkins è We Love You ed è SATANIC MAJESTY, uno dei miei album preferiti di tutti i tempi.
    What In The World è fatta di pezzettini Manfred Mann con frammenti di Only A Northern Song e frattaglie di It's All Too Much; più una mezza dozzina di dischi ECM girati a mano.
    Infine
My Love Explodes. Direi che sono gli Yardbirds di OVER UNDER SIDEWAYS DOWN
incrociati con i Pretty Things e chiunque altro avesse qualche maracas per le mani e i capelli a caschetto. "

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    PSONIC PSUNSPOT vende oltre il doppio di 25 O'CLOCK (Più di centomila pezzi in tutto il mondo) ma ormai il gioco dei Dukes è alla fine; Sir John Johns e i suoi volano in qualche Himalaya della fantasia e lì rimangono, inseguiti dall'affetto dei fans. Torneranno mai? "L'unica mossa possibile sarebbe uno slittamento temporale; per esempio una Stratosphear Gang immersa nella cultura glitter o i Dukes prima di sballare nella stratosfera - qualcosa come i Merseybeats, Liverpool dei primi anni '60". Bella l'idea di una contraffazione estesa a tutta la storia del rock; ma da quella brillante dichiarazione, marzo dei 1988, nessuna notizia più dei Dukes Of Stratosphear.

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    [Quello appena raccontato è il caso più eclatante di sdoppiamento nella storia XTC ma non l'unico. Altri "straniamenti in maschera" riguardano Colin Moulding e un 45 giri inciso nel 1980 come The Colonel (Too Many Cooks In The Kitcben / I Need Protection), Andy Partridge e un singolo eroto-goliardico del 1987 (Johnny Japes & His Testicles, Bags Of Fun With Buster / Scrotal Scratch Mix), Dave Gregory nei panni di David Dreams in una antologia dedicata a Hendrix (IF SIX WAS NINE della Imaginary, 1990, la cover è Third Stone From The Sun) e ancora, in coppia con Partridge, con la sigla Colin's Hermits (eseguono una loro Strawberry Fields Forever su un'altra.collettiva della Imaginary, 1967).

    Il travestimento più celebre di tutti è comunque quello di Partridge con la sigla Three Wise Men, "Tre Re Magi", per un 45 giri lanciato in occasione dei Natale 1983 - Thanks For Christmas sul lato A, Countdown To Christmas Time sul retro. Pur naufragando nella completa indifferenza (molti degli stessi fans XTC non si accorsero del gioco), il singolo non è privo di humour e di eleganza, con la sua bella etichetta da presepe classico, la produzione "dei Tre Re Magi e del buon Dio" e i diritti d'autore accreditati a Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. Per inciso, è anche l'unico prodotto specificamente natalizio da parte di un complesso che, per magia e gusto del gioco, starebbe benissimo sotto l'albero di Natale. E’ sorprendente che nessun album dei tre sia mai uscito in tempo per Santa Claus e che il pur fervido ingegno di Andy P. non abbia mai pensato a un "Magical XTC Tour" o a una serie di 45 giri per le feste di fine d'anno, come i Beatles buonanima. Anche in questo trovo conferma dell'affinità con i Favolosi: non esistono, nella storia del rock, altri complessi tanto "natalizi".]

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    Tra un disco stratosferico e l'altro, nel 1986 gli XTC riprendono il loro corso, andando a cacciarsi nel peggior pasticcio della loro carriera. Tutto nasce dalla scelta del produttore per il nuovo disco, che la Virgin vuole "di gusto americano" nel tentativo di imporre il complesso su quel mercato, apparentemente più sensibile alle finezze degli swindoniani (paradossale ma verosimile: qualcosa del genere era toccato in passato già ai Kinks). La Virgin sottopone ai tre un elenco di nomi papabili e gli XTC scelgono Todd Rundgren, "scelta inevitabile, a dire il vero, perché era l'unico che conoscevamo". In realtà Rundgren è un bel tipo, con vent'anni di pop eccentrico alle spalle e una fama di techno wizard niente affatto usurpata, e sulla carta pare il Grillo giusto per suggerire a Pinocchio.

    Alla resa dei fatti, è invece un disastro. Già i primi contatti sono problematici e il disco in fiore nella testa dei tre viene subito snaturato. "L'idea di base era quella di un disco orchestrale. Niente, ci venne chiesto di scrivere altro. Preparammo qualcosa in stile R&B. Macché, altro ancora. Riversammo allora sulla Virgin un diluvio di pezzi da riempire tre album, per lo più in chiave soft-psichedelica. Su quello ricevemmo l'okay ma poi cominciò il gioco dei veti. Rundgren voleva solo 'canzoni su relazioni interpersonali', niente di diverso, men che meno pezzi con accenni 'politici'. Scartò Terrorism, scartò un brano sulla morte per fame, Obscene Procession, tolse di mezzo anche la mia composizione preferita, Gangway! Electric Guitar Is Coming Througb." La situazione precipita quando i tre volano a Woodstock, agli Utopia Sound Studios di Rundgren, per registrare con il batterista Prairie Prince il materiale tanto faticosamente scelto. "Furono due mesi di incubo. Rundgren è un eremita e noi fummo costretti a spartire quella vita da reclusi, in una baracca in un angolo del giardino di casa sua che eufemisticamente si chiamava 'La Serra'. E in quei due mesi, mai una volta che ci abbia degnati di un'attenzione, mai un cenno; ancora un po' e neanche potevamo guardare la TV!"

    Partridge non sarà d'accordo, ma da uno scenario così agitato viene comunque uno dei dischi più sottili e delicati degli XTC, un campionario di raffinatezze sonore che alludono a lingue gentili come il beat, certo jazz temperato o un denso pop orchestrale. Proprio i brani di quest'ultima fatta (Ballet For A Rainy Day, Season Cycle, 1.000 Umbrellas) sono i preferiti di Andy P. e il limite massimo di sua sopportazione all'album, con l'aggiunta forse di Man Who Sailed Around His Soul, "la definitiva versione di certe colonne sonore per serie TV con storie spionistico-beatnik-esistenzialiste che avrebbero potuto andare in onda a cavallo fra i '50 e i '60 ". Ma il suo è un giudizio fondamentalmente riduttivo. Belli sono piuttosto i momenti nostalgici, il "sesso da adolescenti" di Grass (con una linea melodica rubata ai Bee Gees di Massachussetts), l'indolenza estiva di Summer's Cauldron, il fantasma del beat evocato una volta di più in Big Day (un avanzo di 25 O'CLOCK) e in The Meeting Place; e bella ed estemporanea è l'invenzione acustica di Dying, un folk dal testo feroce che illumina un lato sconosciuto della personalità di Colin Moulding. I brani sono un po' manierati, nello stile dell'ipertrofico Rundgren (un tipo capace di far passare Phil Spector per un francescano), anche se si coglie un gusto più acustico e "naturale" dei complesso. "SKYLARKING è il disco meno elettronico della nostra storia. Il nostro è un viaggio all'indietro nel tempo: veri archi, veri fiati, una vera batteria, anche errori veri. Il prossimo passo sarà il denudamento totale della musica XTC!"

    Al tirar delle somme, Dave Gregory arriva a giudicare SKYLARKING "il disco preferito dell'intera collezione XTC, sonorità a parte", e si può essere d'accordo. Ma Partridge, lui non vuol neanche sentirne parlare: "Rundgren sarà anche un genio della musica ma come tecnico del suono fa schifo e comunque è in tutto e per tutto l'opposto di quel che sono io. SKYLARKING è un disco non riuscito che mi ha sempre depresso molto." Per fortuna il pubblico gli dà torto e premia l'album, edito nell'ottobre 1986, con vendite superiori al passato. Il successo è notevole soprattutto negli Stati Uniti, nel giro "alternatívo" dei colleges, ma è dubbio che dipenda dalla produzione "yankee" di Rundgren, come auspicato dai discografici. In realtà gli XTC ricevono una notevole spinta proprio da una canzone scartata dal produttore e dalla Virgin, Dear God, che viene relegata come facciata B di Grass e, pur in quell'angusta posizione e con il bollo della censura americana, riesce a spiccare e a colpire la fantasia di una nuova audience. Il brano corona un vecchio sogno di Partridge, quello di una pop song dall'aria innocente ma caustica, polemica, forte; e lo corona bene, anche se l'incontentabile autore trova che sia "in parte fallito, perché non ha gli aculei che avrei voluto. Un chiodo ficcato nella gola della gente, così doveva essere: invece qualcuno l'ha presa come una dichiarazione di fede quando voleva essere molto semplicemente la testimonianza che io non credo in Dio - e che, comunque, se un Dio o una Dea c'è, non ha nulla a che fare con la religione." Ci vuole tempo per smaltire tutte le rabbie e frustrazioni, e le sedute di PSONIC PSUNSPOT, subito dopo, sono una medicina solo parziale. Si spiega anche per questo la pausa che cade fra SKYLARKING e il disco successivo, più di due anni che servono ai tre per dimenticare Rundgren, congedare i Dukes, badare agli affari di famiglia e ritrovarsi. Le buone vendite dell'ultimo disco hanno messo quelli della Virgin di buon umore e così per una volta non emergono contrasti fra la banda e i discografici per la scelta del produttore e il luogo di lavoro: sarà Los Angeles, con Paul Fox e un batterista locale (Pat Mastellotto dei Mr. Mister). li lavoro in team è proficuo anche se lungo, un anno quasi a realizzare le idee che Partridge e Moulding, il primo soprattutto, hanno portato in sala a uno stadio già avanzato. Ne nasce un disco doppio di sedici pezzi, ORANGES AND LEMONS, venato di un ottimismo che da tempo non soffiava più dalle parti degli XTC. E’ bello fare musica sapendo che qualcuno vuole sentirla, era dai primi dischi che non ci capitava più. Tutto l'album è percorso da questa corrente positiva e ottimistica: Come SKYLARKING era quieto e pastorale, ORANGES AND LEMONS è forte, anche aggressivo. E luminoso. Gli XTC han sempre brillato come una, lampadina da 40 watt ma qui i watt sono mille. Luce, colori chiari e fluorescenti." Il morale di Partridge è alto non solo per il buon momento professionale ma anche per la gioia di un secondo figlio, e non sembri pettegolezzo questo scorcio di vita famigliare. Gli XTC sono banda domestica, l'abbiamo raccontato, e due figli con cui giocare in casa contano per l'ispirazione almeno quanto l'acquisto dell'ultimo Fairlight. Il titolo del disco, non a caso, viene da una filastrocca per bambini della tradizione e, a ben ascoltare, un po' tutti i brani hanno una sottile vena da nursery rhyme, voluta e garantita dagli autori. "Le canzoni pop di oggi sono le filastrocche di domani" giurano "ed è di simili inezie che noi ci occupiamo." Partridge estende il "rimbambinimento" anche alla natura dei testi. "Le canzoni hanno smesso di essere discorsi camuffati su di me e sono diventate discorsi camuffati sui miei figli. Con i versi oggi io parlo a loro, gli mando messaggi, li faccio divertire."

    In effetti ORANGES AND LEMONS è disco così ricco e intricato che questa natura infantile un po' si perde, soverchiata dalla varietà degli stili e degli argomenti. "In origine voleva essere un album semplice e dai suoni quasi banali ma poi si è complicato, stratificato, via via è diventato denso": un modo elegante per avvertire chi ascolta delle vertigini che potrebbero prenderlo viaggiando dalla fanfara psichedelica di Garden Of Earthly Delights al beat facile di Mayor Of Simpleton, dal pop etno-elettronico di Poor Skeleton Steps Out ("Gli scheletri sono l'ultima etnìa che riuscirà a liberarsi!") fino al jazz Mel Tormé di Miniature Sun e alle tastiere vaporose di Chalkhills And Children (un paesaggio sonoro simile a This World's Over ma con un clima ben diverso: là le macerie dell'Apocalisse, qui le piccole gioie della vita privata). Non tutto riesce, naturalmente, e la lunghezza del disco porta a qualche verbosità e a squarci di "già XTC": ma le vendite non ne risentono, anzi, negli Stati Uniti ORANGES AND LEMONS tocca la cifra inattesa di quasi 400.000 copie vendute, imponendo il gruppo come il massimo culto nel campo del "rock intelligente". La Geffen, che distribuisce i loro dischi Oltre Oceano, preme naturalmente per un tour di promozione ma incontra l'inevitabile non possumus dei tre e di Partridge in particolare, che a dieci anni di distanza sente ancora i brividi dell'ultimo concerto sulla schiena. Alla fine si trova comunque un'idea capace di mettere d'accordo. le parti: Partridge, Moulding e Gregory fanno il giro delle radio americane e suonano "dal vivo in studio" con strumenti acustici da folk hobos, deliziando così i propri fans senza suscitare fantasmi del palcoscenico. Il gioco si spinge fino a una esibizione televisiva per la MTV, con musica in presa diretta davanti a un piccolo pubblico. "Stiamo riabituando Andy alle platee" fa notare Gregory sornione, e forse è una boutade o forse una promessa per un salto acrobatico che verrà.

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    [ORANGES AND LEMONS esce come doppio disco, compact, singolo e anche in una curiosa confezione di tre mini CD. E’ solo l'ultimo oggetto in ordine di tempo di una straordinaria collezione che comprende 33 giri imbustati (BLACK SEA) e a forma di ruota (THE BIG EXPRESS), copertine di 45 giri trasparenti o fustellate a forma di teatrino, calendarietti di cartoline (la serie "nucleare" di This World’s Over) e tavole per il gioco dell'oca (Making Plans For Nigel), doppi singoli a portafoglio e un mini CD regale (King For A Day) sagomato a corona. E' un gioco che gli XTC hanno ingaggiato con i loro fans fin dagli inizi della carriera e che è ormai parte integrante del loro culto; guai se pubblicassero un album nudo e semplice senza edizioni speciali, tirature limitate o, almeno, una scia di 12 pollici, mini CD, promo copies. Solo Elvis Costello (figlio di una negoziante di dischi, e non è un caso) può vantare una collana simile e un gusto così accanitamente teso verso la "particolarità" dell'oggetto-musica; e anche per questo, oltre che per i comuni amori per certe musiche Sixties e l'artigianato pop, va considerato cugino degli swindoniani, pur se di un ramo collaterale - la dinastia è beninteso quella dei Lennon-McCartney, i Tudor dell'età moderna.

    A spiegare tutto, come già si accennava all'inizio, la fame di "magia" che muove Partridge e i suoi: "mi piace l'idea di un disco che ti entra nelle orecchie e disegna un'immagine fantastica nella tua testa", e un disco è anche carta, etichetta, disegno, colla. Dai loro numerosi viaggi nel Paese delle Meraviglie, gli XTC hanno tratto l'insegnamento che la musica migliore è quella che si può anche toccare e annusare.]

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    Il periodo che trascorre fra ORANGES AND LEMONS e il disco successivo è il più lungo nella storia degli XTC: nel medesimo lasso di tempo, trentotto mesi, Partridge e Moulding avevano ideato e cucinato ben quattro portate di LP, ai loro tempi giovani. I perché di questa "gestazione elefantina", per dirla con A.P., sono molteplici. Da un lato c'è la quiete di Swindon, che ti inghiotte e fa perdere soprattutto a Partridge la cognizione temporale. Andy ama passare le giornate in un negozio di libri usati vicino a casa sua ("Ci vado così spesso che molti credono che io sia il commesso, forse anche il proprietario") e lì rallenta i già tranquilli bioritmi della maturità, convincendosi di essere sì un fan dei '60 "ma nel senso del 1660", con qualche dubbio di identità come rockman, a questo punto. Ci sono poi i prodotti extra-gruppo, tollerati da sempre nel libero matrimonio XTC, che distraggono i protagonisti dal loro lavoro insieme. Partridge collabora con Peter Blegvad per KING STRUT & OTHER STORIES, producendo quattro brani e scrivendo con lui la doppia title track (una deliziosa bolla di pop, non avrebbe stonato nel repertorio dei Fab Three): poi produce i Lilac Time e viene contattato dai Mission per una collaborazione che non ha esito. Gregory è anche più attivo, tanto attivo da sfiorare la frenesia: lavora con Marc Almond per ENCHANTED, si prende cura dell'ultimo LP di Alice (sì, proprio lei ... ), produce i Cud di LEGGY MAMBO, collabora con i Johnny Hates Jazz. Perfino il casto Moulding si fa tentare dalle avventure extra XTC e nel maggio dei 1991 appare in scena in un piccolo locale di Swindon con nientemeno che il fantasma di Barry Andrews: insieme accompagnano una giovane promessa locale, Dave Marx, leader dei Refugees.

    Ma il vero motivo del ritardo è la consueta commedia Virginale che va a iniziare quando Partridge & Moulding si presentano a Londra con la valigetta dei nuovi spartiti. Il primo atto vede come di consueto il rifiuto del materiale e la richiesta di altre canzoni, e poi di altre, poi di altre ancora; spiegheranno fonti ufficiali che "Partridge è pigro, e stimolandolo si fa solo il suo bene". Nel secondo atto si consuma il piccolo dramma, anch'esso ben noto, della scelta del produttore. La prima idea questa volta prevede un revival di Padgham e Lillywhite, come alle origini; ma i due sono diventati molto richiesti, nel frattempo, e hanno l'agenda piena. Poi qualcuno butta lì il nome di John Paul Jones: è carissimo, però, e very expensive si rivela anche Tom Lord Alge. Con un salto acrobatico di spazio e di stili, spunta la candidatura di Bill Bottrell, il tecnico del suono dell'ultimo Michael Jackson: anche con lui però non ci si accorda. Vince alla fine, per sfinimento forse, l'antico Gus Dudgeon, quello dei primi album di Elton John, che Partridge saluta con affettuosa ironia ("E’ così demodé che potrebbe diventare 'in") per ingaggiare subito dopo una sottile battaglia di logoramento. Nella scala Rundgren dei terremoti in studio siamo solo al primo grado ma le incomprensioni e le amarezze guastano il lavoro insieme e si finisce con una scena-madre: Dudgeon viene licenziato pochi giorni prima che finisca il missaggio, dopo che aveva preteso l'allontanamento di Partridge al momento degli ultimi ritocchi. Andy P. è il primo a riconoscere la sua intrattabilità in sala ("Quando registro emerge il mio lato tirannico, mi comporto come un incrocio tra Walt Disney e Benito Mussolini") ma la questione probabilmente va oltre il suo carattere. Con pacatezza molto english, Gus Dudgeon ha un'osservazione giusta: "Mi chiedo perché gli XTC si ostinino a lavorare con produttori di nome quando poi interferiscono accanitamente e di continuo. Si producessero, da soli, sarebbero tutti più felici".

    Pur in un tale bailamme riesce un album ricco e denso che va a intitolarsi NONSUCH, nel senso di "qualcosa che non ha eguali" (o forse, meglio, di "qualcosa che non c'è"). Gli XTC lo costruiscono fra l'estate e l'autunno 1991 ai Chipping Norton Studios nell'Oxfordshire (dove ricevono la visita di Terry Chambers, sparito da quei giorni) e poi, per il missaggio, ai Rockfield di Dave Edmunds, a Monmouth: quarto uomo alla batteria è questa volta Dave Mattacks, veterano dei Fairport Convention fin dai giorni di LIEGE AND LEIF e dichiarato fan del complesso. Partridge fa la parte del leone con tredici brani, Moulding si limita a quattro ma ancora una volta non c'è soluzione di continuità: il gusto rivelato da entrambi è simile e tira verso un pop aereo ed elegante, dove le scosse telluriche del rock un giorno amato sono ammortizzate e messe in condizione di non far danni. Billy Bolls è in difficoltà e, dal suo mondo di incubi e sudori freddi, deve sopportare l'ascolto di Humble Daisy di Bungalow, di Rook, dello stesso nuovo 45 giri, The Disappointed, tutte tisane dei nervi calmi in cui il fanciullino vandalico che abitava gli XTC strillando dalle gole e dai pick up è soverchiato da un coro dei violini, viole, violoncelli, trombe, flicorni. Partridge ha ben presente questa nuova tendenza e non si nasconde i pericoli di "carie musicali" che tanti zuccheri possono procurare. Sul punto però è fatalista - l'età, i figli piccoli, una vita finalmente serena... "Quando McCartney fa certe cose, potrei ucciderlo con un Black&Decker arrugginito; poi mi ascolto, e capisco di essere caduto in un abisso del genere."

    Ma vogliam mettere la differenza? Anche se in certi momenti NONSUCH è troppo Sacher e rosolio ("La prima versione di The Disappointed era così Fleetwood Mac che ho avuto problemi di coscienza!"), l'album ha una sua lussureggiante varietà che lo porta a toccare anche altri punti del quadrante pop rock per risultare, alla fine, squisitamente e unicamente XTC. The Ballad Of Peter Pumpkinhead, l'iniziale storia di una zucca di Halloween che diventa metafora di un martirio (da Kennedy a John Lennon a niente-nessuno, ogni interpretazione vale), è segno per esempio di uno splendido ritorno al rock più asciutto e da strada, da one man band: e alla lingua-base torna anche Books Are Burning, la dedica finale a Salman Rushdie e a certi moderni "processi alle streghe", mentre in Then She Appeared riemerge il beat più gentile e quasi Stratosferico e Crocodile ("il pezzo più terra-terra del long playing") ha l'aria di un lontano avanzo da DRUMS AND WIRES.

    Spettacolo nello spettacolo, sotto le note e dietro la fodera delle canzoni, il consueto enciclopedismo musicale dei tre, che han trapuntato NONSUCH di allusioni, crittogrammi, sciarade del rock già in archivio, spinti da un ostinato amore che non abbasseremo mai al rango triviale di nostalgia. Vuole la leggenda che Dave Gregory sia uno straordinario falsario di suoni e che nello studio di casa passi intere serate a ricostruire Strawberry Fields apocrife, 21st Century Schizoid Man parí-pari e, a sentir Partridge, "certi Todd Rundgren così precisi che neanche Todd Rundgren". Figurarsi se in studio non mette a frutto un simile talento, e gli altri dietro. "Quando registriamo è tutto un coro di 'Non è possibile avere una batteria tipo Locomotion di Little Eva?' oppure 'Ci vorrebbe una chitarra più Neil Young' e altro del genere. Sono gli scippi che ci servono per assemblare nelle giuste proporzioni il nostro Frankestein musicale". In NONSUCH, Partridge confessa di avere costruito Omnibus sulla base di un fugace accordo di See Emily Play dei Pink Floyd, che l'aveva folgorato da anni: mentre Wrapped In Grey "è un pezzo di Burt Wilson, nel senso di Burt Bacharach più Brian Wilson" e Books Are Burning "nasce dagli accordi di I Get Around dei Beach Boys, troppo belli per lasciarli marcire". Si dirà che c'è una bella differenza fra i Beach Boys e gli XTC, a parte le otto ore di fuso tra Los Angeles e Swindon, ma vero è che Partridge sta Wilsonizzandosi con gli anni e tra le righe del nuovo LP si sentono più di una volta profumi di PET SOUNDS o SMILEY SMILE: fateci caso, certe linee vocali malinconiche e kitsch o i timbri da "casa di bambola" delle tastiere non possono non ricordare le geniali allucinazioni Sixties del leader B.B. e del suo degno compare, Van Dyke Parks.

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    Naturalmente non finisce qui, anzi, se conosciamo un po' gli XTC dovremo attenderci novità fra non molto. se un ritorno all'attività live o un remake degli Stratosferici o "un disco ogni sei mesi", come promette/minaccia Partridge quando ha la luna, nessuno puo' dirlo - certo che gli ultimi ritmi blandi e l'assenza di capricci/progetti speciali suonano assai poco XTC. Comunque vada, la casa discografica sarà ancora (sarà sempre?) la Virgin, per una serie di motivi che con l'affiatamento artistico-commerciale c'entrano poco. "Con loro ci sono spesso attriti" spiega Andy P. "e proprio di recente abbiamo parlato di divorzio. Però poi si va avanti, e dura ormai da quindici anni. Più che una questione di feeling mi sembra una faccenda di scaramanzia: per loro siamo come i corvi sulla Torre di Londra, magari danno fastidio ma, il giorno che non ci saranno più, mille anni di guai."

 

 

 

 

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