C'è chi intende la sperimentazione come un fare tabula rasa di tutte le convenzioni precedenti e chi invece utilizza proprio le strutture più logore ed abusate come schema rigido entro cui muoversi e creare nuovi sensi. Gli XTC in questo senso sono degli artisti barocchi. Si muovono rigorosamente all'interno della forma-canzone, facendo di questa struttura il campo di manovra per le loro sperimentazioni. In tre-quattro minuti di strofa-ritornello-strofa riescono inevitabilmente ad innescare tutti i possibili processi di disgregazione, ricomposizione e spaesamento adatti a creare la "maraviglia" che stupisce le nostre orecchie.
Inoltre, a supporto dell'ipotesi, bisogna dire che sempre lasciano le meccanica compositiva scoperta di modo che, come con una lente d'ingrandimento, noi siamo spinti ad avvicinarci ed a scoprire tesori nascosti in filigrana. Solo che gli XTC appartengono ad un mondo in cui il pop è già relegato nel passato.
Ripetere una canzone, che so, dei Beatles o dei Kinks non avrebbe più senso. Ecco allora che, come certosini orologiai post-punk, gli XTC costruiscono raffinate rievocazioni di quello che era. L'emotività ed il sentimento di qualcosa che non c'è più e che si suppone ( ma non ci si crede poi così tanto ) dorata. In poche parole la loro è una forma di conservatorismo d'avanguardia che magari colpisce meno nell'immediato ma che, nel lungo periodo, ha dimostrato di aver prodotto dischi senza tempo.
Andy Partridge e Colin Moulding ci propongono questo fine artigianato pop dal lontano 1978 e oggi, con l'attesa uscita di "Apple Venus Vol.1", possiamo finalmente tirare un sospiro di sollievo perché sappiamo che la tradizione casereccia del duo di Swindon continuerà a deliziarci ancora per molto. Partridge racconta che "Apple Venus" è nato come un progetto acustico-orchestrale ( "orchardstral" dice lui ) che gli frullava nella testa da molto tempo. Già in "Nonsuch", l'ultimo album ufficiale degli XTC, c'erano indicazioni in tal senso come "Rook" o "Wrapped in grey". "Anche l'approccio a "Bungalow" e, in qualche misura a "Omnibus" e "Humble daisy" testimoniavano che non desideravamo più avere un approccio tipicamente rock and roll nell'eseguire le nostre canzoni. Volevo veramente entrare dentro altri modelli sonori, ad esempio il suono di un'orchestra. Appena finito "Nonsuch", tutto il materiale che ho cominciato a comporre aveva questa idea in mente, sai, un piano o una chitarra acustica e poi la carne che si attacca a questo scheletro formata da fiati, archi, etc…"
E' particolarmente degno di nota il fatto che Partridge sia un autodidatta. Spesso, quando non trova un accordo particolare al pianoforte, disegna la forma della sua mano su un pezzo di cartone e poi la ritaglia per non dimenticarsi ciò che ha suonato ma soprattutto per essere in grado di comunicarlo agli altri musicisti. Questa forma di ingenuità infantile è uno dei tratti caratteristici delle scrittura di Partridge & Moulding che spesso costruiscono i loro testi su nursery
rhymes modificate e decontestualizzate in modo da far emergere quello strano rapporto tra tenebre e luce che costituisce il loro mondo. Ancora Partridge si considera un "artista della matita piuttosto che del computer" e sostiene che "l'elettronica sia per la musica come la fotografia per le arti" ovverosia spinga inesorabilmente il musicista a non ricercare più la verosimiglianza ma a forzare le proprie capacità cercando di ottenere in musica quello che un computer, per quanto sofisticato, ancora non riesce a dare e cioè "il caldo soffio della vita che si respira nell'analogico. Non è un caso che, come per la vita, ogni volta che utilizzi uno strumento analogico lo deteriori e quindi un po' lo uccidi."
La tecnica compositiva di Andy Partridge ( "si potrebbe dire che io mi occupo della quantità e Colin della qualità ma non era Stalin che diceva che la quantità ha una qualità sua propria?" ) ha generalmente due facce: la prima è quella meccanica in cui un espediente viene utilizzato in maniera scoperta per costruire un brano. Prendiamo ad esempio "River of orchids" il brano che apre "Apple Venus Vol.1". Una semplice goccia che cade serve da spunto per l'ingresso di tutti gli strumenti dell'orchestra. Dapprima una nota alla volta, poi sempre più note assieme come una pioggia fino all'introduzione della voce che, come al solito, propone una frase sghemba e non in linea con il tappeto armonico. Il finale è un vero e proprio fiume di note e parole che si incastrano alla perfezione tra loro.
La seconda è invece quella della semplicità apparente. In "I'd like that" ad esempio ( a mio avviso il capolavoro dell'album ) il segreto è tutto nel basso che scende ad accompagnare la voce come se si trattasse effettivamente della corsa in bicicletta evocata dal suono dei pedali che girano a vuoto. E di nuovo le seconde voci si aggiungono a poco a poco per evocare il piacere del vento primaverile e la corsa si fa più entusiasmante.
In questo senso "Apple Venus Vol.1" è un disco bucolico, molto simile a "Skylarking" e "Nonsuch" piuttosto che a grezze gemme come "Mummer" o "The Big Express". Anche se dobbiamo attendere l'uscita del disco gemello previsto per l'inizio dell'anno prossimo e che Partridge definisce "molto più rock e immediato". Ho sempre avuto due lati: uno complesso e uno semplice e stupido. Il "Volume 2" sarà un disco
del mio lato stupido." Ho motivo di pensare però, alla luce delle dichiarazioni di Partridge, che la fase più tormentata e dissonante degli XTC sia ormai definitivamente alle spalle. Sarebbe interessante provare ad immaginare quali derive avrebbero potuto imboccare i magnifici swindoniani se avessero deciso di portare alle estreme conseguenze alcune delle tracce più involute di "Mummer" ad esempio. Ripeto, sembra però che, a partire da "Oranges & Lemons" si sia raggiunta una classicità XTC, quindi un'ulteriore chiusura sul proprio lavoro come se i due fossero monaci medievali intenti a ricopiare antichi testi lettera per lettera.. Ancora una volta la pressione sulle pareti della forma-canzone aumenta. Le sfaccettature "dark" sono affidate ai testi ( uno per tutti "Your Dictionary" ) dove saltano fuori le difficoltà affrontate da Partridge in questi anni come la malattia, il divorzio, il rapporto conflittuale con la Virgin ed il distacco dalla band di Dave Gregory. Anche dal punto di vista dell'immagine del gruppo gli XTC si sono sempre tenuti fuori, ed in un certo senso avanti, rispetto ad una tipica rock band. Hanno smesso di tenere concerti nel 1982 ( il recente cofanetto "Transistor Blast" ne è un'eccellente prova documentaria ) a causa degli attacchi di panico di Andy Partridge e, lungi dal trasformare l'assenza dalle scene in un handicap ne hanno fatto un altro punto di forza. "A parte il fatto che mi sono devastato la prostata" dice Partridge "durante il periodo delle esibizioni live sentivo che non potevamo andare avanti per molto a proporre per la tremilionesima volta un pezzo che potevi ascoltare molto meglio sul disco. Volevo veramente far vedere la mia flaccida carcassa in scena? Haha! No, penso che sia meglio che queste cose le facciano le gang di ragazzini che hanno bisogno di una ragazza. Non avete bisogno di comprare la mia maglietta sudata quando con lo stesso prezzo potete portarvi via un pezzetto della mia anima acquistando il disco."
In questi tempi, in questo ennesimo triste 1974, in cui ci si interroga sul valore della "rappresentazione rock" e sulla sua capacità di comunicare ancora ribellione, novità, spinta in avanti, ecco che la vita e l'opera dei maestri barocchi di Swindon sono, ancora una volta, all'avanguardia.
Grazie a Pierpaolo Vettori