This Is Pop!
Aurelio
Pasini e Carlo Bordone
Il Mucchio Selvaggio n. 451 - 17 Luglio 2001
La migliore pop band da un ventennio a questa
parte. Un’affermazione forte, ma a conti fatti difficilmente confutabile.
Quante altre formazioni votate alla causa della melodia orecchiabile ma non
banale e dell’arrangiamento perfetto-senza-essere-dozzinale possono vantare
una discografia così ricca di episodi memorabili e, soprattutto, praticamente
priva di cadute di tono? In oltre quattro lustri di onorata carriera, il gruppo
di Andy Partridge (voce e chitarra) e Colin Moulding (voce e basso) - autori di
tutte le composizioni del gruppo, ma sempre ognuno per proprio conto - si e'
guadagnata l’incondizionato rispetto di tanti colleghi (in primis i Blur, che
a loro devono molto) e di uno zoccolo duro di fan in ogni parte del mondo, ma
non e' mai riuscita, salvo qualche rara occasione, a raggiungere quel successo
che invece le sarebbe (stato?) dovuto. Questo e' pero' solo uno dei tanti
fenomeni inspiegabili che caratterizzano il mondo della musica. La recente
ristampa in versione rimasterizzata del catalogo Virgin dell’ensemble, in
pratica tutta la discografia essenziale dagli esordi fino al 1992 - sarebbe
stato ancor piu' bello che fosse stata inclusa pure la raccolta di rarita' Rag
& Bone Buffet (1990) - rende omaggio in maniera definitiva ad uno dei
canti migliori del songwriting inglese degli ‘80, mai banale, sempre popular
e obliquo nel contempo, quasi per nulla offuscato da una produzione a tratti
inesausta.
Formatisi a Swindon attorno alla meta' degli anni ’70 (in
una prima line-up con il batterista Terry Chambers, A.D. 1976 e col nome di Star
Park), gli XTC acquisiscono il loro nome estatico e definitivo nel ’77
e con il tastierista Barry Andrews. Un 12"ep, 3-D, e l’esordio di
White
Music - forse un poco acerbo e legato al clima post-punk, nonostante la
versione incredibilmente sussultoria di All Along The Watchtower di Dylan,
la garage-delica Science Fiction e l’inno This Is Pop?, entrambe
di Partridge - non permettono ai Nostri di raggiungere il successo, nonostante
la contabilita' di diversi episodi. Una storia destinata a ripetersi. Go 2
e' uno dei punti maggiormente sfocati del repertorio XTC, abbastanza energico ma
non particolarmente significativo nella scelta dei brani. Insomma, i Nostri
stanno "prendendo le misure".
Sostituito il dimissionario Andrews, che piu' tardi troveremo
alla corte di Robert Fripp, con Dave Gregory (chitarra e tastiere), e reclutato
in cabina di regia Steve Lillywhite, gli XTC danno infatti alla luce il loro
primo capolavoro, Drums And Wires, che trainato dal singolo Making
Plans For Nigel (trentasettesima posizione nelle charts) riscuote un buon
successo commerciale. Numerosi i momenti interessanti firmati da Partridge, tra
cui, tanto per limitarsi a un paio di titoli, la nervosamente post punk Roads
Girdle The Globe o la incalzante Scissor Man, ma per una singolare
combinazione i brani piu' memorabili sono farina del sacco di Moulding: Life
Begins At The Hop, Ten Feet Tall e la gia' ricordata Making Plans
for Nigel.
E' comunque
Black Sea la chiave di volta per il
suono della band: affrancati da certe asprezze passate, i Nostri entrano nel
mood pop che sarà loro meglio congeniale, innestato fra le scosse R&B, non
prive di un certo umorismo, di Kinks ed affini, e le costruzioni psych di
beatlesiana memoria. Finalmente il pubblico "premia" la ditta
Partridge/Moulding con un picco di vendite sostanzioso, sia negli USA che in
madrepatria: ascoltando, a distanza di anni, pezzi quali Towers Of London o
Generals And Majors, non possiamo certo dargli torto. Si arriva così al
doppio English Settlement, un’opera senz’altro ambiziosa per
la varietà di stili e generi toccati ma assolutamente riuscita, tanto che per
molti rappresenta l’apice della discografia della band. A dimostrarlo, la
melodia perfetta di Senses Working Overtime, le atmosfere etniche di It’s
Nearly Africa, istanze folk (All Of A Sudden) e improvvise accelerate
ska (Down In The Cockpit). Un disco completo, quindi, che potenzialmente
potrebbe lanciare il quartetto nell’olimpo delle star del rock: qualcosa, pero',
va storto. Vittima di una improvvisa nevrosi da palcoscenico, Partridge decide
tutto d’un tratto di abbandonare l’attivita' dal vivo (da allora mai piu'
ripresa, se non per qualche estemporanea session radiofonica) per dedicarsi,
novello Brian Wilson, esclusivamente al lavoro di studio.
Il disco che segue,
Mummer, risente di una
certa dose di malinconia, pur licenziando alcune canzoni decisamente superiori,
comunque in tono acustico e delicato (Frost Circus, Lady Bird). E'
una produzione che così non verra' supportata da esibizioni di alcun genere,
rischiando di cadere in fretta nell’oblio. Sorte non diversa toccherebbe anche
a The Big Express, salvato da un tono appena appena piu'
distaccato ed ironico, sostenuto da filastrocche dada (All You Pretty Girls),
un’incursione ritmica vecchio stampo (il reggae di This World Over) e
diverse escursioni pop a mezzatinta: quotidiane e simpatiche,
rappresentano il vero valore aggiunto dell’album. Secondo alcuni la perfezione
canzonettistica della band comincia da qui.
E' in ogni caso tempo di deviare, di trovare nuovi punti di
vista musicali. Forti delle sorprendenti vendite del mini-lp 25 o’Clock,
divertissement pop-acido uscito con la pseudonimo di The Dukes Of Stratosphear,
Partridge, Moulding e Gregory vanno fino in America per registrare Skylarking.
Insieme a loro, nientemeno che Todd Rundgren: un incontro teoricamente perfetto,
ma che ben presto degenera a causa delle incomprensioni tra lui e Partridge.
Nonostante cio', il disco e' un capitolo fondamentale nella storia degli XTC,
non solo per la sua strepitosa bellezza ma anche perche' finalmente porta allo
scoperto uno degli elementi del DNA musicale dei nostri swindoniani, in
precedenza abilmente dissimulato: la psichedelia. E non parliamo di
atteggiamento o di semplice predisposizione verso soluzioni "mutanti",
che' in quel senso nessuno ha mai avuto dubbi, bensì proprio di freakerie
che si rifa' in modo spudoratamente letterale (e divertito) all’estetica
Sixties. Intorno alla meta' degli anni ’80, seguendo forse anche certo spirito
dei tempi, Partridge e Moulding approdano ad una loro personale e coloratissima
Pepperland,
e da lì ripartiranno per le nuove avventure della fine del decennio e dell’inizio
di quello successivo. Ad annunciare in pompa magna il ritorno di collanine,
incensi, camicie paisley, ritornelli bubblegum e chitarre al
contrario, era stato proprio il gia' citato mini-album 25 O’ Clock,
opera di un gruppo di buontemponi talmente impuniti da girare con un nome
hippesco e palesemente fuori moda come "duchi della stratosfera". Sara'
anche un disco-scherzo (non a caso uscì sul mercato il primo di aprile),
e tanto piu' serio non e' neppure il seguito, stampato su disgustoso vinile
marroncino, Psonic Psunspot (annata ’67... pardon, ’87;
entrambi i titoli sono raccolti nel cd Chips From The Chocolate Fireball).
Eppure, quei deliziosi pasticcini lisergici emanavano - e hanno mantenuto negli
anni - la fragrante, nostalgica bonta' tipica di ogni vera madeleine. E
poi, diciamolo chiaramente, pezzi come Bike Ride To The Moon, Pale And
Precious, Mole In The Ministry, Vanishing Girl e così via,
sono signore canzoni. Con il genio perverso che li contraddistingue da sempre,
Partridge e Moulding aggirano abilmente il dilemma revival/citazione colta: i
dischi dei Duchi non sono revivalisti ne' citano alcunche'. No, quelli
sono dei veri lp sixties ricreati in studio, centrifugando
abilmente e amabilmente - con la preziosa collaborazione del produttore John
Leckie - la lezione dei Move, dei Pink Floyd barrettiani (con Have You Seen
Jackie si sfiora addirittura il plagio di Arnold Layne), dei Tomorrow,
dei Pretty Things, dei Manfred Mann, del McCartney piu' stupidotto. Il problema
dell’eccessiva reverenza nei confronti di quella indimenticata stagione
floreale, semmai, si pone con il ritorno alla produzione "normale",
quella firmata XTC. Con i Dukes, Patridge aveva ricevuto dalla Virgin una wild
card con cui sfogare liberamente la propria passione sixties
(ampiamente ripagata in termini di vendite), ma si sa: un gioco, soprattutto per
una casa discografica, e' bello se dura poco.
Oranges
And Lemons, il successore di
Skylarking, risente tuttavia
ancora della recente escursione "estatica" nella Swingin’ London. A
partire dalla copertina in stile optical/pop art, nella quale i Nostri
vengono raffigurati immersi in un bagno di colori, per proseguire con
inequivocabili strizzate d’occhio musicali: clamorosa la chitarra al
contrario dell’orientaleggiante Garden Of Earthly Delights, per non
parlare della cantabilita' alla Beatles di Major Of Simpleton o del vero
e proprio tributo al Brian Wilson piu' trasognato di Chalkhills And Children,
uno di quei brani che ti fa venir voglia di prendere a schiaffi chi sostiene che
il pop sia tutto una questione di "canzoncine". Difficile ancor piu'
del solito sceglierne i brani migliori, visto che l’album nel suo complesso
suona particolarmente brillante e compatto, insieme classico e moderno. Notevole
anche la presenza in molti titoli della tromba di Mark Isham, che fornisce un
valore aggiunto al tutto non trascurabile. Pur senza la levita' del
predecessore, Oranges And Lemons e' un gran bel prodotto, di quelli su
cui si torna spesso meravigliandosi ogni volta di trovare nuove sfumature e
intuizioni melodiche nascoste. Identico discorso per il successivo Nonsuch,
che per sette lunghissimi anni e' stata l’ultima riserva di "xtc"
disponibile sul mercato (e anche ultimo prima dell’abbandono di Gregory), a
causa della surreale querelle con la casa discografica. Diceva Andy
Partridge in momenti piu' felici: "Noi XTC siamo per la Virgin quello
che i corvi sono per la Torre di Londra: ci tengono solo perche' sanno che il
giorno in cui voleremo via crollera' tutto." Per tenerli, li hanno
tenuti: farli incidere, pero', era un altro discorso. A un certo punto si
disperava persino di tornare a vedere il gruppo in azione. Fortunatamente non e'
stato così, ma in caso contrario Nonsuch sarebbe stato il degno capitolo
finale di un grande romanzo. Un patchwork superbo dalla prima all’ultima
traccia: ovvero, dall’ultra-pop di Peter Pumpkinhead, interpretata poi
con successo dai Crash Test Dummies (in che mondo ci tocca vivere...), alla
struggente invettiva Books Are Burning, passando per delizie orchestrali
come Rook, frenesie memori del passato wave come Crocodile
e le solite perle di buon gusto lasciate cadere con nonchalance da
Moulding (Bungalow e My Bird Performs, soprattutto). Siamo nel ’92,
e dopo Nonsuch i corvi XTC non voleranno via dalla Torre di Londra/Virgin:
per loro sfortuna, ne verranno imprigionati dentro per parecchio tempo. Alla
fine, comunque, riusciranno a liberarsi... ma questa e' un’altra storia.
Discografia essenziale
Dukes Of Stratosphear:
Tutti su Virgin. La discografia della band
comprende anche alcune decine di 45 giri ed ep contenente moltissimi brani
in origine inediti altrove e poi raccolti in varie antologie.
Grazie a Aurelio Pasini per la collaborazione