This is pop: non solo il titolo di una canzone, ma una
vera e propria dichiarazione di intenti. Oggi, più che ai tempi del loro
esordio, non credo esista alcun dubbio a proposito del genere di musica proposto
dagli XTC. E pop e basta. Ma c'è pop e pop, questo è altrettanto sicuro. E
quello degli XTC è davvero strano. Pensiamo, ad esempio, a «Great Fire»,
brano apparso su «Mummer», album del 1983. La canzone sembra nascere
dall'intersecarsi, sovrapporsi, rincorrersi di almeno tre brani differenti: i
cambi di tempo, di tonalità, di atmosfera si susseguono così freneticamente da
lasciare interdetti. Quello degli XTC è dunque un pop complicato.
Complicato = intellettuale = noioso: l'equazione è
presto fatta ma completamente sbagliata. Le canzoni degli XTC, infatti, sono il
più delle volte divertenti, sempre comunque intrise di humor, argute, musicalmente
euforiche ed euforizzanti.
La contraddizione, solo apparente , è presto spiegata. Gli XTC costruiscono
canzoni complicate a partire da elementi semplici. riconoscibili, a tutti
familiari: sono tasselli della grande tradizione pop inglese, che affonda le
radici nell'opera dei quattro mitici da Liverpool, inseriti in un nuovo e
talvolta spiazzante contesto, nel quale interagiscono con altri elementi presi
in «prestito» e rimescolati con somma abilità. Ed il risultato di questo di
giocare al Lego con sgargianti mattonelle sonore sono
cittadine tuttopop, dove non ci si stancherebbe mai di gironzolare, perché
dietro ad ogni angolo, al di là di ogni porta, si trovano nuovi colori,
affascinanti prospettive, ingegnose soluzioni architettoniche. ma dove si
incontrano anche personaggi bislacchi, melodie oblique, travestimenti
eccentrici, ritmiche saltellanti, fino a scoprire perfetti esempi di linearità
e semplicità beatlesiane.
L'abbiamo già detto tempo fa ed oggi lo ripetiamo gli XTC compongono giocando,
giocano componendo. E' scherzo e riflessione ad un tempo, in ogni caso metalinguaggio,
metamusica, metapop. Ed ora uno sguardo alla discografia.
Al momento dell'esordio discografico la line-up del gruppo
era composta da Andy Partridge (voce, chitarra, composizione della maggior parte
dei brani), Colin Moulding (voce, basso, composizione), Barry Andrews
(tastiere), Terry Chambers (batteria). «White music», prodotto da John Leckie,
esce in Italia con uno stick promozionale che qualifica il disco come «punk»
ma già ad un primo ascolto risulta evidente che gli XTC con il punk hanno ben
poco a che fare. Il suono è tipicamente «New- wave», un filone che nasce
storicamente dal punk ma che stilisticamente e «ideologicamente» prende subito
le distanze dal suolo d'origine. I ritmi veloci ed essenziali, gli arrangiamenti
scarni e spigolosi, l'atmosfera freddamente intellettuale, dunque le caratteristiche
tipicamente new-wave del disco, lo
fanno sembrare oggi irrimediabilmente datato. Ma sotto questo rivestimento del
tutto esteriore batte già forte e chiaro il cuore pop degli XTC: se brani come
«X-Wires» o «l'm Bugged» sono quasi irritanti
nella loro programmata ed alienante isteria, le melodie rotonde di «This is
Pop» e «Radios in Motion», il divertissement di «Do What You Do» e il gioco
citazionista di «All Along the Watchtower» tracciano sin d'ora le coordinate
che il gruppo seguirà poi in maniera
fedele e coerente.
Il disco si presenta con una copertina semplicemente
strepitosa. Gli XTC mostrano di avere piena consapevolezza delle convenzioni e
dei meccanismi del rock business ma li dileggiano con grande ironia,
esplicitando una volta per tutte il gioco metalinguistico che sta alla base di
tutta la loro produzione. «Meccanik Dancing (Oh We Go!)», il brano d'apertura,
ripropone, chiarendole, le architetture sonore che, già embrionalmente presenti
su «White Music», diverranno una costante del gruppo.
Tali architetture sono essenzialmente basate sulla contrapposizione ira «strofe
oblique» (melodie sghembe, ritmica zoppicante, percorsi vocali ai limiti della
stonatura) e «ritornelli raddrizzati» (armonie strumentali e vocali rotonde,
immediate, piacevoli, nella migliore tradizione beatlesiana). Complessivamente
l'album ci sembra più caldo e dotato di maggiore forza comunicativa del
precedente: il suono è più corroso mentre il gruppo accantona volentieri certe
esasperazioni intellettuali per abbandonarsi allo scatenato dinamismo punk-ska
di «Crowded Room» e «Red» o al pop'n'roll di «The Rhythm». Un passo
avanti.
La produzione di Steve Lillywhite, l'abbandono del gruppo
da parte di Andrews, il cui organo aveva fortemente connotato il suono del
gruppo nei primi due LP, e l'arrivo di Dave Gregory sembrano donare nuova linfa
vitale agli XTC che, tuttavia, non sempre riescono ad organizzare in modo coerente
il fluire incessante della propria forza creativa. «Drums and Wires» è dunque
un album piuttosto discontinuo: alla disinvoltura melodica di «Making ,Plans
For Nigel» (singolo di discreto successo) e di «Ten Feet Tall» si oppongono
brani più introversi come «Millions», mentre il puro divertissement di «Scissor
Man» contrasta con la complessità strutturale di «That is the Way» e le
nuove prospettive sonore aperte dalla coinvolgente «Complicated Garne».
In seguito gli stessi XTC individueranno nella frammentarietà il difetto
maggiore di «Drums and Wires», un disco in cui ciascun brano è troppo
indaffarato a splendere di luce propria e a pavoneggiarsi nella propria
perfezione per collaborare ad una migliore riuscita dell'insieme.
In cui gli XTC appaiono intenti a smussare angoli e Iimare
asperità, creando così l'album più «facile» tra
quelli realizzati fino a questo momento; «Black Sea» fila via liscio liscio,
ma certo non piatto; se un difetto gli si può imputare questo consiste
probabilmente nella (relativa) scarsità di quelle trovate geniali, di quei
guizzi imprevedibili, di quegli improvvisi scarti ritmico-melodici che avevano
caratterizzato i precedenti lavori. Le canzoni («Respeciable Street», «Living
Through Another Cuba», «Towers of London» tra le altre) sono sempre ad
altissimo livello, ma gli XTC, forse alla ricerca di un impatto sonoro più
immediato, rinunciando almeno in parte a certe «sregoIatezze» musicali che vengono
comunque regolarizzate senza scendere a compromessi espressivi.
Con l'autorevolezza dei suoi quindici brani per circa un'ora
di grande musica chiude idealmente la prima parte dell'avventura musicale degli
XTC. Difficile non parlare di capolavoro a proposito di «English Settlement»:
l'album, prodotto da Hugh Pagdam e dagli stessi XTC, è solido, compatto, eppur
ricco di mille sfumature, complesso ma perfettamente scorrevole Gli XTC mettono
a punto alcuni gioielli pop che si rivelano dei veri e propri «instant-classic»:
la struggente bellezza di «Runawais», l'irruenza di
«Ball and Chain» e «No Thugs in Our House», l'irresistibile freschezza
melodica di «Senses Working Overtime» fanno dell'album una pietra miliare
nell'evoluzione del pop inglese. Musicalmente «English Settlemet» rimane
tuttora l'album più avanzato del gruppo: al pop classico dei brani prima citati si affiancano canzoni di incantevole delicatezza come
« Yacht Dance», «All of a Sudden», e «Melt the Guns», che aprono nuove
prospettive nell'ormai tipico suono del gruppo grazie ai preziosi e fitti ricami
acustici delle chitarre e agli inediti giochi di percussioni.
Prodotto da Steve Nye e dagli XTC, il disco venne accolto
piuttosto freddamente dalla critica, soprattutto a causa degli inevitabili
paragoni con «English Settlement». Si tratta indiscutibilmente di un'opera di
transizione, sperimentale. La scrittura degli XTC appare schizofrenicamente
scissa tra acquarelli pop semiacustici, sognanti e bucolici, come
«Wonderland», «Love on a Farmboy's Wages», «Ladybird» e brani più
introversi, cupi, densi di inquietanti sonorità tastieristiche («Beating of
Hearts», «Deliver Us from the Elements», «Human Alchemy»). Il gruppo, in
seguito, rinuncerà almeno in parte a sviluppare queste intuizioni, che rimangono
comunque un esempio interessantissimo dell'irrequietezza creativa di Partridge e
Moulding e di una inesauribile voglia di esplorare nuovi terreni musicali. Un
disco da riascoltare con attenzione e da rivalutare.
Un album contraddittorio e riuscito solo in parte. In «The
Big Express» si trovano infatti brani davvero splendidi (l'iniziale «Wake
up», l'incanto sospeso di «This World Over», le cui sonorità risultano però
sospettosamente vicine a quelle dei Police, periodo «Ghost in the Machine»)
ma, ad un livello più generale, ci sembra di intravedere un leggero
appannamento della vena compositiva di Partridge e Moulding. Come in «Mummer»
gli arrangiamenti sono complessi ed il suono fortemente stratificato: ciò va
tuttavia a discapito delle melodie, da sempre il punto di forza del gruppo, che
talora perdono di lucidità, si aggrovigliano, stentando a decollare. Si tratta,
per fortuna, solo di una sosta nel cammino creativo del gruppo, che infatti
riprenderà più lesto e brillante che neri nel successivo...
... forse il miglior album mai realizzato degli
XTC. La
produzione di Todd Rundgren verrà in seguito criticata dal gruppo, che tuttavia
trarrà proprio dal lavoro di Rundgren alcuni fondamentali insegnamenti
applicati poi negli album successivi. L'atmosfera musicale del disco è
piacevolmente rilassata, primaverile, si potrebbe dire, in quanto carica di
deliziosi aromi sonori che rendono i brani uno più bello dell'altro, gemme di
puro pop in cui la lezione beatlesiana di semplicità e delicatezza melodica
viene applicata a tutto campo, modernizzata e rivista in un ottica assolutamente
originale. Gli arrangiamenti di archi sono davvero deliziosi mentre le parti
strumentali vengono ridistribuite in maniera più omogenea. Con «Skylarking»
gli XTC sembrano aver ritrovato la via maestra e la percorrono in una sorta di
«stato di grazia» che nasce probabilmente dalla consapevolezza di trovarsi
finalmente fuori dalla mischia ed essere assurto ad uno status di
«classicità» ormai indiscutibile.
La gioiosa psichedelia di «Garden of Earthly
Delights»
spalanca i battenti di un album caratterizzato da una vitalità espressiva e da
una freschezza quali ci si potrebbe aspettare solo da un gruppo agli esordi. I
suoni cristallini ed i giochi di armonie vocali di «The Mayor of Simpleton»,
«King for a Day» e «The Loving» lasciano stupefatti per il grado di
perfezione compositiva acquisito dagli XTC, ormai capaci di estrarre dal
pentagramma una lunga serie di meraviglie musicali (15 brani per oltre un'ora di
musica) con una naturalezza ed una disinvoltura condivisa da pochissimi altri
artisti. L'album è molto vario, straripante di suoni ed idee, forse leggermente
discontinuo ma si tratta di un peccatuccio che di fronte all'eleganza di «Here
Comes President Kill Again» e alla sognante malinconia di «Cynical Days» si
dimentica facilmente.
XTC: Odds and Sodds
Quella sopra riportata è solo la discografica
strettamente «essenziale» degli XTC. Il gruppo, infatti, si è sempre distinto
per la generosità delle B-side dei propri singoli, mix ed EP, il più delle
volte con tenenti numerosi brani inediti. Esistono inoltre alcune raccolte
piuttosto interessanti, tra le quali possiamo segnalare: Waxworks: Some
Single 1977-1982 e Beeswax: Some B- Sides 1977-1982, venduti
sia separatamente che come album doppio; The Compact XTC, antologia solo
su CD; Rag & Bone Buffet, ottima raccolta di alternative takes,
rarità, curiosità; Explode Together - The Dub Experiment, disco che
riunisce i brani dell'EP Go+ (dub-version di alcune canzoni di Go 2) e
dell'album Take Away The Lure of Salvage di Andy Partridge (anch'esso
basato su canzoni degli XTC rivedute e corrette elettronicamente). Gli XTC hanno
anche inciso sotto falso nome: come The Dukes of Stratosphear hanno prodotto due
deliziosi album, 25 O'Clock e Psonic Psunspot, in stile
demenzial-protopsichedelico;
come The Three Wise Men hanno prodotto un singolo natalizio dal titolo Thanks
for Christmas.
Fuori dalla mischia. Mentre il mondo del pop inglese
viene da una lunga stagione di mutamenti febbrili, contaminazioni, sperimentazioni, in cui i gruppi si formano e
spariscono con una velocità impressionante, così che di cento promesse
solo un numero ristrettissimo viene rispettato mentre le più si dissolvono
come bolle di sapone, gli XTC se ne stanno beatamente in disparte, a guardare
questo teatrino di comica frenesia con il consueto atteggiamento ironico e di
distaccata ma mai sprezzante o superba saggezza.
Certo, la «classicità» ricercata e raggiunta dagli
ultimi XTC, quelli di «Skylarking» e «Oranges & Lemons», comporta
anche degli aspetti negativi. Primo fra tutti la rinuncia a nuove soluzioni
compositive, la stabilizzazione su di un registro stilistico, consolidatosi nel
corso degli anni, che sembra non si voglia più mettere in discussione. Molti
vedono dietro a queste scelte il pericolo del manierismo: noi le riteniamo semplicemente le inevitabili conseguenze di una raggiunta maturità.
Ma la classicità ha anche i suoi vantaggi. Innanzitutto
le canzoni degli XTC non invecchiano più: musicalmente sono fuori dal tempo,
luminose, perfette, incorruttibili, un po' come quelle dei Beatles o dei Kinks,
i maestri cui gli XTC hanno sempre guardato con sommo, e proprio in
quanto tale anche critico, rispetto.
Ascoltare oggi un nuovo album di Partridge, Moulding e
Gregory è come prendersi una vacanza in alta montagna con qualche vecchio
amico: si respira, ci si diverte tranquillamente, ci si gode la bellezza del
paesaggio, in una parola ci si sente meglio.
In «Nonsuch» si distillano liquori pop dai sapori
purissimi e raffinati, da sorbire lentamente e, perché no?, golosamente; i fast-food sono lontani mille chilometri e non c'è motivo di sentirne
la mancanza. Ancora una volta gli XTC hanno lavorato con cura artigianale ogni
minimo dettaglio, ma senza maniacali pedanterie, anzi divertendosi per far poi
divertire. Il suono inconsuetamente rock'n'roll della splendida ed iniziale
«The Ballad of Peter Pumpkinhead» sorprende e testimonia di una vitalità e
di una freschezza ancora ben lontana dall'andar in letargo mentre la
delicatezza di «My Bird Perform» e la lievità gioiosa di «Dear Madman Barnum»
ci permettono di ritrovare le consuete ed eleganti movenze della scrittura
dì Partridge e Moulding. «Nonsuch» non conosce cadute di tensione:
l'ispirazione degli XTC scorre senza ostacoli, capace come sempre di corteggiare
con disinvoltura e discrezione diverse atmosfere musicali. Di nuova è dato
rilevare semmai il tono musicalmente «serio», i suoni più densi e profondi
del solito che caratterizzano alcuni brani della seconda metà dell'album forme
«That Wave» e «War dance», che tuttavia non stonano accanto alla
dolcissima e visionario beatlesianità di «Humble Daisy» e «Wrapped in Grey»
o alle malinconiche e melodrammatiche argomentazioni di «Rook».
Musica di qualità e distinzione.